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La verità, vi prego, sul pallone #10

11 Nov

La verità è che i derby sono indigesti a Zeman. Con un intervallo di 13 anni il boemo ha ricominciato da dove aveva finito: con una sconfitta. In settimana aveva dichiarato che per De Rossi questa partita era più importante di quanto lo fosse per lui. Si è visto. Peccato che per capitan futuro (futuro che forse non arriverà mai visto che Totti continua a giocare e la cessione di DDR appare tutt’altro che improbabile) dare tutto significa anche farsi giustizia da solo. Cazzottone a Mauri e Roma in 10 prima delle fine del primo tempo. Se ci mettiamo anche la papera di Goigoichea (inguardabile quella respinta sulla punizione di Candreva) e l’errore di Osvaldo all’ultimo minuto il quadro è completo. La colpa non può essere solo di Zeman anche se a onor del vero, ultimamente, il boemo sembra più un opinionista che un allenatore. Una squadra non può fare sempre 4 gol per vincere. La Lazio ha ribaltato in una settimana il suo campionato. Dallo 0 a 4 di Catania al 3 a 2 nel derby. Gli ultimi successi dei biancocelesti nei derby recenti possono essere spiegati anche con il fatto di non avere tra le proprie fila giocatori tifosi come Totti e lo stesso De Rossi che sentono un po’ troppo questa partita. Meglio l’impassibile Klose, sempre puntuale e continuo. E poco importa che l’avversario si chiami Roma, Chievo, Inter o Siena. Lui è il grande valore aggiunto di questa squadra. Per dirla con i paroloni di quelli della TV, un toppleier bello e buono, anche a 34 anni suonati. La giornata sorride alla Juve. Prima di tutto perchè in una settimana, segnando 10 gol, i bianconeri cancellano la sconfitta con l’Inter e riprendono una marcia che prima o poi doveva interrompersi. Ritrovando il gioco, la velocità, la difesa, le geometrie di Pirlo, i gol di Quagliarella. Ora Bentder può riaccomodarsi in panchina. Chissà perchè sabato scorso, uscito Vucinic, Conte ha pensato al danese e non a qualcun altro. Il dubbio mi resta. Sei gol sono tanti su qualunque campo. Anche a Pescara (curioso che Stroppa viene messo in discussione quando vince e non quando ne prende 6). Ma la vera vittoria della Juve arriva nel posticipo, con la sconfitta dell’Inter. Una sconfita che ridimensiona la banda Stramaccioni ma, a mio parere, non la taglia fuori. I nerazzurri non avevano vinto il titolo sabato scorso, non l’hanno perso oggi. Per di più contro un’Atalanta che ha già battuto Milan e Napoli e gioca davvero un bel calcio(avrebbe 20 punti) con degli interpreti (italiani) davvero interessanti: Cigarini, Peluso e Bonaventura su tutti. Bravo Colantuono. Si riaffaccia prepotentemente il Napoli sulla scena. Cavani segna il suo quinto gol in 4 giorni. Un mostro. Con Falcao, attualmente, il miglior numero 9 del mondo. Ma nonostante la vittoria rimango convinto che in estate sia stata sottovalutato un fattore: la partenza di Lavezzi. Lui era il giocatore che spaccava le partite e le difese. Lui era l’imprevedibilità. Questo Napoli è più concreto, più funzionale, ma meno imprevedibile. Ha comunque 9 punti in più dell’anno scorso e dirà la sua fino in fondo. Batte il Genoa che perde la quinta partita di fila (quattro con Del Neri). La Sampdoria è arrivata a sette. E domenica c’è il derby di Genova. Auguri. Credo che non sarebbe una buona idea affidare al derby il destino di uno dei due allenatori (la Samp è ancora scottata dall’esperienza di due anni fa quando cambiando tre allenatori finì in B, mentre Del Neri ha bisogno di tempo per far funzionare la squadra) però appare inevitabilmente così. Si preannunciano scintitlle. Copertina alla Fiorentina. Tre gol a San Siro, quarto posto e la palma della squadra che gioca il miglior calcio. Senza grandissimi nomi, ma con un grande collettivo (oggi mancava Jovetic). Il Milan affonda e rischia seriamente di disputare un campionato anonimo e senza ambizioni. La verità è che questa squadra può perdere con chiunque. Non mi sembra che Allegri possa dare ancora molto al Milan, ma forse questa è una mia impressione. In coda sempre più critica la situazione del Bologna che rischia seriamente di andare in B (come Bologna, battuttaccia) nonostante stia costruendo un ambizioso centro sportivo per far allevare giovani campioni. Un po’ il destino di questa Società che 30 anni fa retrocesse nonstante i 9 gol di un ragazzino di 17 anni che si rivelò uno dei più grandi talenti del calcio italiano: Roberto Mancini. In bocca a lupo.

Per quella romanticona di Adele: l’immagine calcistica più bella della settimana è quella di Rod Stewart, tifoso del Celtic Glasgow che, dopo la vittoria della sua squadra in Champions League contro il Barcellona, scoppia in lacrime. Davide che batte Golia ha sempre il suo fascino. E se anche la leggerezza ha il suo aspetto pesante, piange anche un cantate (cit.) Persino una Rock Star dura come lui. Emozioniamoci ancora.

A domani, su Controradio!

 

57) Brescia – Bari, 24 settembre 1997 – U Bàr iè fort (?)

22 Ott

Leonardo vive a Brescia. Non è più il ragazzino che usciva in fretta e furia da scuola per andare a vedere il Bari allo stadio delle Vittorie. Sono lontani quei tempi e, nella nebbia di Santa Eufemia pensa, con un pizzico di nostalgia, a quei pomeriggi infinti. Mille lire di focaccia, solo a Bari si può scegliere la quantità del proprio desinare misurandolo in denaro. Leonardo lavora adesso, in un ipermercato. Ha una figlia di un anno e ogni tanto ripensa a quella volta in cui, in sella al suo motorino, vide un bambino che si dimenava in macchina, con tanto di sciarpa del Bari, per salutarlo. Andavano entrambi a vedere il Bari. Una squadra di serie C che quel pomeriggio eliminò dai quarti di finale di coppa Italia niente popodimeno che la Juventus di sua maestà le roy Platini. Sono passati 13 anni o poco più. Il bambino si appresta a diventare maggiorenne ed ha deciso che studierà a Milano. La lontananza non lo spaventa, la vi d’sus neanche. Vuole sentirsi metropolitano, o almeno alla mamma e al papà ha detto così. Il 24 settembre del 1997 Leonardo e quel bambino, ormai adulto, si ritrovano allo stadio Rigamonti. Fa freddo per essere settembre, e il pubblico di casa non aiuta. Certo, è una partita di Coppa Italia, ma sembra di stare a teatro più che ad uno stadio. Leonardo e il ragazzo non si riconoscono. Lui non è solo, ed è passato troppo tempo. Forse semplicimente non è lui, pensa il bambino diventato adulto e il tempo è passato troppo in fretta da quella volta in cui gli regalò una sciarpa. Forse è tutto un film. Anche perchè la curva è quella del Brescia. E non mi chiedete che ci fanno questi due nella curva del Brescia; avranno le loro buone ragioni. Il quasi diciottenne accomapagna una ragazza della quale è innamorato perso. Tanto da prendere un treno di notte e saltare due giorni di scuola. Oggi può dirlo alla madre che quella volta non andò in gita, ma a trovare Veronica, la ragazza conosciuta a Peschici l’estate prima. Occhi azzurri e sorriso ammaliante, una maglia dei CCCP come promessa. Amarti m’affatica, mi svuota dentro, qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto, diceva la loro canzone. Ci ameremo all’infinito vedrai. E se non vivremo sul mare, vivremo sul lago. Veronica si diverte a seguire il suo Brescia e lui accetta la sfida. Vengo in curva con te. Appena entrato si accorge però che in quel settore dello stadio non c’è tanto da scherzare. Meglio stare muti, l’accento tradisce e come. E così prova a stringersi in un giubbotto jeans che non lo riscalda affatto dalle folate di vento e nebbia. Poi avvicina le sue mani a quelle di Veronica. Intanto scendono in campo le squadre. Fascetti si affida al blocco dei titolari. Mancini, Sala, De Rosa, Sordo, Ventola e Masinga. Anche il Brescia però non si risparmia: c’è Hubner e ci sono Diana, Adani, Neri, Sabau e un giovanissimo fenomeno in panchina. Si chiama Andrea Pirlo e da queste parti dicono che diventarà un campione, c’è da giurarci. Intanto a centorcampo ci sono i gemelli Filippini, quelli che al fantacalcio li puoi schierare a seconda di chi ha giocato meglio. Un trucco utilizzato per troppi anni. Io ho Antonio. Io ho Emanuele. E nessuno ci capiva mai un cazzo. Forte del vantaggio maturato all’andato (vittoria per 1 a 0) il Bari si copre e gioca in contropiede. Il ragazzo segue le ripartenze della sua squadra con malcelata indifferenza, tra sciarpe bianche e blu e imprecazioni incomprensibili. Veronica ride. E quell’uomo qualche fila sotto di lui sembra proprio Leonardo. Ma non può essere lui. Nel frattempo Ventola e un certo Binz vengono alle mani e l’arbitro è costretto a espellerli entrambi. Passano un paio di minuti e Neri viene steso in area, senza troppi complimenti. Rigore per il Brescia. Sul dischetto si presenta Hubner, che sbaglia. Ehhh Pota! Grida qualcuno. Passano cinque minuti e un arbitro davvero poco pietoso nei confronti di un ragazzo capitato nella curva sbagliata assegna il secondo (in realtà ineccepibile) rigore. Stavolta espelle anche Neqrouz. Hubner, come in un vecchio sketch di Paolo Rossi (quello di Beccalossi) riprende il pallone in mano. Stavolta lo segno, sembra dire la sua espressione. Mancini va da una parte e il pallone dall’altra. Fuori. Secondo rigore sbagliato. Una barzelletta. Finisce il primo tempo. Si gioca in 10 contro 9 ma a questo punto può succedere di tutto. Anche scoprire che il ragazzo e quell’uomo si sono conosciuti proprio in uno stadio, 13 anni prima. Basta un occhiolino. Un cenno di intesa. Un modo per dire, sì sono proprio io. Ma che ci fai qui anche tu? Secondo tempo: nel Bari non c’è più Masinga, sostituito da un’agile punta esterna. Quel Gianluca Zambrotta che un giorno diventerà il terzino campione del mondo. I minuti scorrono e Mancini sale in cattedra con qualche bella parata che tiene il Bari a galla. Fino al 71′ quando Adani svetta di testa e fa esplodere tutta la curva meno due. Che somatizzano il vento gelido che viene dalle montagne. In fondo è solo coppa Italia, chi se ne frega. Un cavolo. I supplementari sono alle porte quando sempre Adani decide, con un’entrataccia, di ristabilire la parità numerica. 9 contro 9, gli schemi che saltano totalmente, se mai ci sono stati. Il Bari esce dal bunker e un secondo prima della fine De Ascentis recupera un pallone a centrocampo lanciando l’inesauribile Giorgetti, fino a quel momento, in realtà, piuttosto abulico. Dodo supera mezza squadra del Brescia in velocità, gemelli Filippini compresi. Arriva sul fondo, mette in mezzo e pesca proprio Zambrotta che di mezza girata infila Zunico. In fondo è solo coppa Italia. In fondo un cazzo. E’ un pareggio della madonna in una partita eroica. 9 contro 9, con due rigori sbagliati dal Brescia e per di più restando 90 minuti zitti nella curva avversaria. Ecco perchè nonostante gioiscano interiormente tutto lo stadio capisce che quei due, il ragazzo e l’uomo qualche fila più in basso sono baresi. Ma tanto baresi. L’arbitro non fa neanche riprendere il gioco. Veronica accarezza i capelli del ragazzo, ne capisce la felicità. Si scopre contenta per lui. Il quasi diciottene corre verso Leonardo e l’abbraccia. Ma cosa ci fai anche tu qui? Gli dice.

Lavoro qui, sono venuto con due amici bresciani.

Forza Bari.

Sempre.

Eccola, la poesia del calcio. Quel Sempre. Nella buona e nella cattiva sorte, in 10, in 9, in B, in C, in A. Insomma, sempre.

La verità vi prego sul pallone #3

23 Set

La verità è che proprio durante la settimana della moda la Milano calcistica sparisce dalla classifica che conta. Quella di serie A. A memoria è la prima volta che entrambe le milanesi iniziano così male, totalizzando 9 punti complessivi nella prima quattro giornate. Dopo essersi scambiati gli attaccanti di peso (e due pesi di giocatori) Inter e Milan potrebbero pensare di scambiarsi gli allenatori, sempre a parametro zero. Per il momento il gioco è tirare a indovinare chi tra Allegri e Stramaccioni durerà di più. O se volete chi prima tra Moratti e Berlusconi perderà la pazienza. A proposito: è solo un caso che Berlusconi negli anni ’90 si apprestava a diventare l’uomo guida degli italiani comprando tutto il comprabile e oggi potrebbe riproporsi (di nuovo?) predicando austerity è sacrificio? Allora sì che troverebbero una spiegazione le cessioni di Ibra e Thiago. Genio. By the way, torniamo al calcio. La storia di Inzaghi già pronto a sostituire l’allenatore che non ha mai sopportato mi sembra più che altro un’invenzione dei media. Per carità, Allegri non è proprio un grande oratore ma neanche la dialettica di Pippo mi sembra così travolgente. Strama è più simpatico. Diverte, fa battute in romanesco a Milano, fa polemica, le sue cravatte sono impeccabili. Ma per ora niente di più. L’Inter non vince neanche le partite dovute, anzi le perde. E gioca male. Hai voglia a parlare di progetto appena iniziato. La verità è che i migliori allenatori italiani sono all’estero: Mancini, Ancelotti, Spalletti, Capello, Di Matteo. Di qui il mio pensiero: servono davvero i ribaltoni? A Torino c’è invece un grande allenatore, ma lo tengono nella cella frigorifero dello Juventus Stadium, causa squalifica. Ma la Juve continua a vincere. L’anno scorso si cercava l’anti-juve, adesso basterebbe trovare qualcuno in grado di batterla. Nel frattempo si fa strada con serietà e coraggio Carrera. In fondo il suo è un ruolo tutt’altro che facile. Avrebbe tutto da perdere e se la Juve non vincesse direbbero tutti che si sente la mancanza di Conte. Invece, zitto zitto, Carrera si sta ritagliando uno spazio nel calcio italiano. Scommettiamo che l’anno prossimo trova una panchina tutta sua? Se lo meriterebbe anche per la sua carriera (scusate il gioco di parole) da difensore. Sempre impeccabile e mai troppo considerato (soprattutto dalla nazionale). A Cagliari è andato in scena il teatro dell’assurdo. Stadio dichiarato inagibile, Cellino che invita i tifosi a recarvisi comunque, partita rinviata, polemiche e siamo solo alla quarta giornata. Nel frattempo a Liverpool, a noi piace guardare anche altrove, i tifosi di casa e quelli del Manchester United cantano a squarciagola “You’ll never walk alone” per ricordare le vittime della strage del 1989. Bentornato a Gasperini che ha iniziato con una sconfitta (d’altronde era tornato a vendere gelati per un anno, vero Adele?). La strada è in salita e il Palermo è per ora una seria indiziata alla retrocessione. Martedì si ritorna in campo: chissà se la Fiorentina saprà fermare la Juventus. E se Milano saprà rialzarsi. Finora il copione è stato abbastanza scontato, vedremo se arriverà quel colpo di scena che è mancato anche in Europa: Juve esaltante, milanesi allo sbando. A proposito di Champions: simpatica la scenetta del Bernabeu con Liam Gallagher che prima esulta baciando le stuart e facendo giri di tribuna al gol del City poi si cacciare dallo stadio al gol di Ronaldo che ribalta la partita in 5 minuti. Paese che vai racconto che trovi. E comunque anche in questo caso possiamo solo guardare all’estero. Da noi non da più spettacolo negli stadi neanche Gigi D’Alessio. Per fortuna.

foto: la cella frigorifero da dove Conte segue le partite allo Juventus Stadium

51) Bari – Parma, 31 agosto 1997 – U Bàr iè fort

31 Ago

Avevo 18 anni. Lo so, sembrano pochi. Poi, come cantava De Gregori, ti volti a guardarli e non lo trovi più. 15 anni in più, in un secondo. Le mie spalle sono più larghe, mio padre non c’è più, mia madre si preoccupa perchè vivo altrove. Ricordo l’entusiasmo della mia prima estate da maggiorenne. Il primo Interrail. Svezia, Norvegia e Finlandia. Tanto per partire col botto. Pochi soldi, un telefonino in cinque e molto entusiasmo. Niente carte di credito, un piccolo tesoretto da gestire. I miei mi aspettavano a San Vito, provincia di Taranto. Passavamo le nostre estati lì, e quello fu il mio primo agosto all’estero. Tornai in tempo per la prima partita del Bari. Mio padre aveva rinnovato gli abbonamenti, stesso posto dell’anno precedente in B. Ma questa volta è serie A. Mi dice “andiamo in giornata e poi torniamo in villa a goderci gli ultimi giorni di mare“. La villa, le vacanze, frammenti di estati lunghe e felici. Quando le ferie duravano mesi e sul lungomare di Viale del Tramonto potevi ascoltare la musica che veniva direttamente dal Juke Box. Faceva caldo quel giorno. Un caldo stronzo, quasi beffardo, di quelli che ti stordiscono. La prima in serie A dopo un anno di purgatorio. Mamma dov’è la mia sciarpa? L’ho messa nel cassetto, mi risponde. Inutile, per mia madre una sciarpa è un oggetto invernale. Fa niente che sia biancorossa. Una sciarpa è una sciarpa e d’estate sta nel cassetto assieme ai cappelli, ai guanti e ai maglioni. Per me no. La sciarpa del Bari la devi guardare, ricordare, accarezzare se ce ne bisogno. La penso ancora così, anche nei momenti più difficili. Come questo. Ma non divaghiamo. Allora non c’era internet, le notizie arrivavano più lente. Le davano i Tg o la radio, se ti imbattevi nelle frequenze giuste. Mia madre la ascoltava spesso, la radio, e a lei era demandato il compito di informarci su ciò che succedeva nel mondo. Quella notizia mi arrivò tra capo e collo mentre preparavo un panino da portare allo stadio e una scorta di succhi di frutta per il breve viaggio che mi attendeva. Allora la tratta Taranto – Bari non mi sembrava poi così breve. Punti di vista. Sarei ipocrita se dicessi che quell’evento sconvolse la mia giornata, o la mia vita. Di certo fu un evento. E il mondo lo avrebbe celebrato, ricordato, mistificato, di anno in anno. E io mi sarei ritrovato a raccontarlo 15 anni dopo, mischiando il sacro con il profano. La passione per il calcio con quella per l’attualità, facendo un po’ di confusione. “Lady Diana è morta, ha fatto un incidente” – mi dice mia madre, risentita, mentre sto leggendo la formazione del Bari sul televideo. Si, ok, le rispondo. Poi ci penso. “Chi mà?” “Lady D. quella poveretta. Santa Donna, il Principe Carlo la trattava male. Lei faceva un sacco di opere buone, che bella donna che era. Peccato“. Ora, dovete sapere che per mia madre chi muore è sempre bello. O bella. Il che, se ci pensate, rende tutto ancora più tragico. E mia madre ha sempre adorato i miti, le riviste patinate, le storie riguardanti la monarchia che nonna Nicoletta deve averle in qualche modo trasmesso. Sì, mia nonna era monarchica e conosceva a memoria gli intrighi di tutte le dinastie reali. Morì sognando il ritorno della monarchia in Italia. Da qualcuno mia madre doveva aver pur preso. Accesi la televisione, era mio dover informarmi (in me si faceva largo, con poca convinzione in realtà, l’idea che un giorno avrei fatto il giornalista). Erano passate poche ore, ma già si parlava di inseguimenti, complotti, autisti kamikaze. Di colpo le immagini di un’auto distrutta, accartocciata. Certe volte fama, soldi e potenza non possono nulla. La vita di quella principessa era volata via, in una notte d’estate. “Cristiano andiamo – dice mio padre – troveremo traffico sulla 100“. E io ritorno a pensare alla partita, ai fatti miei. Il Bari gioca contro il Parma, una delle favorite per lo scudetto. La squadra di Carlo Ancelotti ha cambiato molto ma Enrico Chiesa, Benarrivo, Buffon e Asprilla sono una garanzia. Il Bari si riaffaccia alla serie A dopo un solo anno. Fascetti conferma il blocco che ha vinto la B (soffrendo, in realtà) e aggiunge a questo mosaico il portiere Mancini, la torre Masinga, l’eterna promesssa Gianluca Sordo e i giovanissimi Zambrotta e De Rosa. Quest’ultimo rappresenta la vera sorpresa. Il centrale da affiancare a Sala, un giocatore che viene dalla serie C e rappresenta qualcosa di più di una scommessa. Lo osserviamo nelle movenze, non sembra un esordiente. Gioca a testa alta, con sicurezza. Dopo un paio di minuti (il tempo di assaggiare la serie A) questo pazzo scatenato si inventa un dribbling da ultimo uomo su Enrico Chiesa. Qualche minuto dopo lo rifà su Asprila. Lo stadio osserva con stupore, trattenendo il fiato (e bestemmiando prima, esaltandosi poi) ogni volta che questo incosciente prova un dribbling. Il Bari gioca bene, ma è la classica partita da prima giornata. Non appena entusiasmo e corsa ti portano a illuderti di poter vincere i grandi giocatori ti puniscono. Benarrivo crossa dal fondo, la difesa del Bari pasticcia e Strada, ad un minuto dalla fine del primo tempo, porta in vantaggio il Parma. Nel secondo tempo Fascetti inserisce anche Miguel Guerrero. In B aveva fatto bene ma in A ricomincia a intestardirsi con sgroppate inutili e calci d’angolo tra le braccia del portiere avversario (che in questo caso è il futuro portiere più forte del mondo). Zambrotta dimostra di che pasta è fatto mettendo in difficoltà la retroguardia gialloblu, Ventola spreca due occasioni facili facili e alla fine è proprio Benarrivo a punire per la secondo volta il Bari e chiudere la pratica. Ma i galletti tra gli applausi e all’uscita si mischiano discorsi sui dribbling di De Rosa e l’incidente di Lady Diana. Io e mio padre ritorniamo a Taranto, delusi ma neanche tanto. In fondo è solo la prima giornata. Il tempo di fermarci a casa, a Bari, per controllare se è tutto a posto e fare una telefonata a mia madre. “Mi raccomando, andate piano” dice lei, pensando a Lady Diana. Sono passati 15 anni esatti e mio padre non c’è più. I due bambini che osservavano con grande dignità quel funerale (mi colpirono davvero, una mamma è una mamma, anche se sei un re) sono due uomini belli e fatti. Mia madre si preoccupa ancora di dirmi di andare piano. De Rosa, certi dribbling, non li ha fatti più. La mia passione per il Bari, nonostante tutto, è rimasta intatta.

46) Lecce – Bari, 30 dicembre 1990 – U Bàr iè fort (?)

22 Giu

Vincenzo Matarrese ha sempre avuto una concezione molto padronale, e provinciale, del potere. E Antonio non è mai stato da meno. Come quella volta in cui raccontò, con innocenza e candore, che suo fratello aveva protestato con lui per le convocazioni Under 21 di Maldini: neanche un giocatore del Bari. Accade il 30 dicembre del 1990, alla vigilia di un derby importantissimo contro il Lecce di Boniek. Un tecnico arrivato in Salento con la fama di grande innovatore, di personaggio scomodo e tecnico del futuro e che un anno dopo siederà sulla panchina del Bari. Il risultato sarà lo stesso su entrambe le panchine: retrocessione. Zibì però sembra avere le idee chiare, all’epoca: “Avrei potuto fare mille cose per guadagnare soldi – dichiara al Guerin Sportivo (dicembre ’90) – dal commentatore televisivo al manager. Ma onestamente questa è la sola che mi faccia sentire davvero realizzato: essere in campo con i ragazzi per gli allenamenti durante la settimana, e la domenica vederli giocare dalla panchina“. Qualche anno dopo, evidentemente, cambierà idea. Ma non si sente molto la nostalgia del Boniek allenatore. Il suo Lecce però non parte affatto male: pareggia spesso e vince ogni tanto. Con i due punti si può conquistare la salvezza anche così. Ha un punto in meno del Bari di Salvemini, Un allenatore meno sponsorizzato dai media ma certamente più efficace. Anche lui, alla vigilia del derby si esprime con un certo ottimismo: “L’anno scorso c’era un obbligo: tornare in A. Quest’anno c’era l’idea di fare un buon campionato per creare certe basi. Siamo in media. Anzi: siamo pronti per tentare il salto di qualità. Il traguardo è la coppa Uefa. La città è matura, ha una grossa provincia, ha strutture in grado di assecondare le ambizioni della Società“. Parole sentite e risentite per anni. Insomma, il derby si annuncia ricco di spettacolo. Nella stessa giornata si giocano due sfide scudetto: il Milan sfida la Juve in casa mentre la sorprendente Sampdoria di Mancini e Vialli ospita l’Inter per portarsi in testa alla classifica di un campionato che alla fine vincerà. Mio padre mi propone di andare in trasferta in Salento. Ci andiamo a Lecce? – mi dice con innocenza. Mia madre lo guarda in cagnesco. Ma guarda questo, io sto organizzando il capodanno e lui pensa ad andare a vedere la partita! Li adoro quando litigano. Lo so che si amano, e comunque vada so che lei capirà. Il Bari è sempre il Bari e non c’è Capodanno che tenga. Prendiamo la Panda, quella targata Brindisi, così stiamo più sicuri. E anche se ce la toccano chi se ne frega, è tutta scassata, dice sempre mio padre. Arriviamo a Lecce per le 11.30, il tempo di una Puccia. Fa un caldo che sembra luglio, eppure è dicembre, uno dei più temperati che io ricordi. Ci prendiamo anche un pasticciotto, e un caffè. Andiamo allo stadio e mio padre compra due biglietti di tribuna. Niente sciarpe per carità, ha una responsabilità, un bambino di 12 anni, e nessuna intenzione di fare storie. Vuole vedere una partita di calcio, una festa, niente di più. Lo speaker annuncia la formazioni: Biato, Carrera, Loseto, Brambati, Cucchi, Gerson, Di Gennaro, Maiellaro, Lupo, Raducioiu, Joao Paulo. I loro nomi spuntano tra i fischi. Li sentiamo a fatica, il tempo di un commento a bassa voce. Perchè Lupo e non Soda? Gli olè accompagnano la formazione di casa. Zunico in porta, Garzya, nostro futuro capitano, in difesa. Il prossimo campione del mondo Mazinho a centrocampo assieme ad Alejnikov e al giovane Antonio Conte a centrocampo, Pasculli e Virdis in attacco. Insomma, tutt’altro che una squadraccia. La partita incomincia con il Lecce affamato. C’è quel numero 8 che corre come un ossesso. Mio padre prende nota e mi dice: quel ragazzo farà strada, si chiama Conte. Lui ha sempre avuto un fiuto naturale per certe cose. Il Bari si difende. Loseto (Dang’nu tuzz) mette la museruola a Pasculli. I due si conoscono e non si amano. Brambati si occupa di Virdis. Capelli bianchi e baffo d’annata, fiuto da goleador ancora intatto. Passa mezz’ora. Mezz’ora di schermaglie, poco altro. Garzya lancia in avanti, Mazinho corregge verso il centro dove si incunea Morello che, nonostante il pressing di Loseto, riesce a mettere in rete. 1 a 0 per loro. Mio padre si alza per vedere meglio e quasi mi tira su con se. Penso lo faccia per non dare nell’occhio e mi alzo anche io, sebbene si veda lontano da un miglio che il mio non è un gesto di esultanza. Boniek chiama la zona a centrocampo e chiede ai suoi centrocampisti di tenere palla. Mazinho e Alejnikov non chiedono di meglio. A correre ci pensa quell’altro, il numero 8. Raducioiu davanti è solo, per il Bari. Ma con i suoi scatti tiene in apprensione l’intera difesa. Joao deve ancora accendersi. Sembra svogliato, con la testa già al viaggio in Brasile. L’assenza di Terracenere si sente. Cucchi e Di Gennaro sembrano piuttosto assenti e il Borghetti ha un odore che mi da troppo di stadio. Di urla e passione, dialetto e aria viziata. Ma mi piace, quell’aria, mi fa sentire a casa. Maiellaro non si illumina e Pasculli va due volte vicino al raddoppio. E per fortuna che ci pensa Biato a togliere per due volte le castagne dal fuoco. Nel secondo tempo c’è Laureri al posto di Di Gennaro e la squadra ne guadagna in corsa sebbene perda in qualità. Ma forse non è la qualità che serve. Conte, stremato, viene sostituito da un difensore, Carannante. Ma il minuto decisivo è il 66′, quando Salvemini prende coraggio e butta dentro un attaccante, Soda, al posto di un difensore, Loseto. Ventisei anni, la fama di attaccante di peso scolorita da una manciata di stagioni all’insegna del digiuno da gol. Una serie di campionati a Catanzaro, Empoli e Trieste. Una discreta serie B e poco altro. Poi la chiamata del destino: il Bari si disfa di Scarafoni e a parziale conguaglio pretende dalla Triestina Antonio Soda. La destinazione è la panchina, ma quando Antoniosoda (tutto attaccato) si alza, sono dolori. Debutta in Bari – Juve infilando Tacconi, poi esce di nuovo dal letargo e… ma andiamo per ordine. Joao sembra dare cenni di risveglio. Un paio di dribbling e qualche legnata (ricevuta). Garzya è veloce quanto lui, sa come marcarlo. Ma Radu si incunea in area e si trova solo davanti a Zunico che è bravo a chiudergli lo specchio. Il Lecce cala alla distanza, gli succede spesso. Minuto 88: il Bari conquista un calcio d’angolo. Le speranze sono piuttosto ridotte ormai: Joao sistema il pallone con cura. Lascia partire una parabola delle sue. Soda irrompe in area e di testa anticipa tutti. Pareggio e delirio (silenzioso) personale. Mio padre mi da un pugno sulla spalla, di nascosto. Io vedo i miei idoli esultare sotto la curva biancorossa che finalmente si fa sentire. Vorrei essere in quel posto. Ad esultare con loro. A gridare, urlare, applaudire. E invece devo stare in silenzio, interiorizzare quella gioia, fare finta di niente. Mi servirà nella vita, eccome se mi servirà. E servirà anche quel punto, al Bari, a fine stagione. Sarà decisivo per la salvezza, quella che ci regalerà Joao in un bellissimo pomeriggio di Maggio, facendo impazzire Maldini, Baresi e Costacurta.  Mentre il Lecce affonderà a Genova contro la Samp campione d’Italia. Ma questa è un’altra storia.

Prossima puntata: Bari – Empoli, 4 maggio 2009