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73) Bari – Milan, 5 aprile 1998 – U Bàr iè fort (?)

18 Lug

Ad aprile ci ritroviamo sempre a parlare di salvezza. Quando va bene. Non ricordo un aprile sereno, nella mia storia di tifoso biancorosso, almeno se parliamo di serie A. Però (all’epoca dei fatti) sono poco più che un ragazzo, ho diciannove anni, e in fondo chi se ne frega se il Bari si deve ancora salvare. Se questo pensiero rientra tra le cose che mi tolgono il sonno non ho molto di cui preoccuparmi. Gli esami di maturità al massimo, quelli che racconterò qualche anno più tardi in Domani No, ma tutto sommato vivo alla giornata, e gli esami sono ancora lontani dalla mia stanza, e non solo. Per esempio sono lontani dallo Stadio San Nicola, il 5 aprile del 1998.

Il mio Bari affronta il Milan e deve fare punti per salvarsi. Non importa essere partiti con il piede giusto anche questa volta. Un marzo da brividi ha compromesso tutto, e adesso ci si ritrova a lottare con l’Atalanta, il Vicenza e il Piacenza. Sono rimaste 7 giornate, e il calendario, tra big e scontri diretti non è cortese, anzi. Lo scorgo mentre mi accomodo in tribuna est e “Il Galletto” mi informa che il Bari scenderà in campo con una maglietta celebrativa, diversa dalla solita. Si andrà a Udine, a Piacenza, a Bergamo, si ospiterà il Vicenza e la corazzata Inter. Sì, quella di Ronaldo. La squadra che per gli almanacchi, al netto di rivedibili decisioni arbitrali, perderà lo scudetto proprio per colpa (merito) del Bari.

Poco male, una partita alla volta. Il vento soffia timido, si sta bene anche in maglietta, specie se hai meno di 20 anni e ti pulsa forte il sangue nelle vene. Roba di amori, di passioni, di corse in bicicletta e pomeriggi al sole a non far nulla. Il Bari scende in campo con una maglia anni ’50, come annunciato, e la scritta “Un calcio all’indifferenza” al posto dello sponsor Gio.Bi trasporti. Chissà che fine hanno fatto quelli di Gio.Bi trasporti, se racconteranno ai nipoti di aver sponsorizzato una squadra di serie A. Adesso li cerco su Google. Il Milan gioca in maglia nera. Nera come la stagione della squadra di Capello, partita con i favori del pronostico. Ba e Kluivert i giocatori che avrebbero dovuto fare la differenza. Del primo si ricordano soprattutto i capelli color platino e la smania di somigliare a Denis Rodman, del secondo, personalmente, ricordo soltanto la doppietta al Bari, proprio nella partita di andata. C’ero quel giorno a San Siro. Ricordo il freddo di dicembre e l’odore delle castagne e delle pannocchie (col sale, mi raccomando) prese per strada a Milano. Della partita conservo la noia, fino alla doppietta del misterioso olandese. E la più classica delle frasi “tutti con noi si devono svegliare“.

Fascetti sa che deve vincere. Osa le due punte. Una si chiama Allback ed è arrivato in Italia con la fama del bomber. Deve sostituire l’infortunato Ventola ma di lui si ricorda un palo, un assist (contro il Napoli) e poco altro. Almeno non fa danni. Non inciampa, non rallenta l’azione, non sbaglia gol impossibili. Semplicemente non pervenuto. Ho visto di peggio nella mia vita. Masinga non sembra in palla. Dopo 5 minuti si mangia un gol clamoroso facendosi ipnotizzare da Seba Rossi. Al 14′ della ripresa, ancora solo, cincischia e perde l’attimo per battere a rete. Dagli spalti arriva qualche fischio. Philemon non ha mai rappresentato l’attaccante ideale del tifoso barese. Poco scaltro e molto utile, segna poco ma fa gol pesantissimi. Ne ricordo diversi, quasi tutti decisivi. Alcuni molto belli, come quello con l’Empoli o la girata con la Sampdoria.

Ma il tifoso è severo. Lo vede pesante, macchinoso. Fa fatica a saltare, mi dice il fenomeno seduto accanto a me. Sì, e Zambrotta fa fatica a partire. Manca un quarto d’ora e iniziamo a guardare l’orologio come se si giocasse con la provinciale di turno. Questa partita va sbloccata, non possiamo pareggiarla. Fa niente che l’avversario si chiami Milan, a nessuno quei ragazzi in maglia nera ricordano gli eredi della stirpe divina del berlusconesimo. La difesa poi, con Nielsen, Smoje e Daino, sembra finta. Si soffre però. Donadoni, richiamato in fretta e furia dai Metrostar, costruisce anche un’occasione importante per portare il Milan in vantaggio. Ci pensa Franco Mancini a sbarrare la strada Ganz uscendo come solo lui sa fare. Come un gatto. Potenza e agilità, quanto mi manchi portierone.

Poi accade quello che non si può dimenticare. Quelle scene (minuti, frazioni di secondo) che nel calcio ti rimangono nella mente, magari solo perché alla fine della corsa quel pallone finisce in rete e tu puoi esultare e dire al tuo vicino di posto che no, il calcio non è cosa sua. Abbracciandolo, ovviamente. Zambrotta corre, ma ad un certo punto non si accontenta di correre. Mette il turbo, sulla destra, perché deve lasciare sul posto il suo diretto avversario, che in questo caso è un certo Daino. Zambro va fino in fondo, come nel perfetto manuale dell’assist, e mette in mezzo un fendente alto e calibrato. Morbido, e teso al tempo stesso. Ci provano in tre ad intervenire su quel cross ma nessuno ci arriva. Poi vedi lui. La sua testa lucida e pelata. Il suo passo felpato, nonostante la stazza.

Masinga salta e inclina leggermente la testa verso sinistra. Quel tanto che basta per deviare la traiettoria del cross e la stagione del Bari. Rossi resta immobile, il pallone finisce in rete e lo stadio esplode. Una rete fondamentale per le sorti della stagione. Ve l’avevo detto, vorresti dire. Masinga corre verso la Nord e la maglia celebrativa finisce nel museo della storia. Il Bari vince una partita non indimenticabile, ma i tre punti sono ciò che contano. Phil esulta, il sole scende pian piano ma la giornata prende un’altra piega. Ora si può andare in cortile a farsi crossare il pallone di spugna ed emulare Masinga. E se andrò in porta rimarrò fermo, a guardare il pallone che si infila lì, dove sognare è ancora possibile.

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Masinga batte Rossi (foto Pianetabiancorosso)

Masinga batte Rossi (foto Pianetabiancorosso)

72) Bari – Lanciano, 13 aprile 2013 – U Bàr iè fort (?)

5 Lug

Cosa c’è di più complicato che emozionarsi in un campionato mediocre? Sette punti di penalizzazione, una rincorsa continua, una scalata senza meta. Tanto ai play off non ci arrivi e se ci arrivi ti mangiano, perché quelli che stanno lassù sono più attrezzati e non vivono alla giornata come noi. Torrente lo sa e costruisce il suo gruppo motivandolo partita dopo partita, annullando subito la penalizzazione. Ma nel calcio i “meno” non te li togli mai dalla testa (e dalla classifica). Fai sempre quei maledetti calcoli, con sette punti in più saremmo al quinto posto, e non ti rendi conto che arriva un momento che quel debito inizia a pesare sulla tua testa.

Arriva tra marzo e aprile quel momento. Il Bari, che fino a quel punto ha vissuto dell’entusiasmo dei giovani, di simpatia, di corse sul lungomare e panini a Pane e Pomodoro, Gangam Style e facce pulite come quelle di Sciaudone, Lamanna e Rossi, si ritrova immischiato nella lotta per non retrocedere. Dopo Reggio Calabria (partita persa per 1 a 0) cominciano le paure. Torrente ha perso la squadra dalle mani, si dice. Ma la Società (o chi per lei) non lo mette in discussione. Si va avanti con lui. E sinceramente, mai mossa fu più azzeccata (devo ancora capire cosa ci fa, oggi, Torrente in Lega Pro).

Il 13 aprile arriva a Bari il Lanciano di Gautieri. Uno che quando correva sulla fascia del San Nicola, a metà degli anni ’90, ricordava il Nino della canzone di De Gregori. Il pallone, stregato, gli rimaneva davvero attaccato al piede. Nonostante sembrasse farraginoso, sgraziato, un po’ curvo sulla schiena. Una volta fece girare la testa a Maldini e Costacurta e mise alle spalle di Rossi il pallone della vittoria contro il Milan. Batteva i rigori (ma a volte li sbagliava) e diceva sempre che se non avesse fatto il calciatore avrebbe fatto il benzinaio. Durante l’era Materazzi fece anche il secondo portiere, sedendo in panchina con il numero 12.

Gautieri allena bene, ha costruito un mezzo miracolo in Abruzzo, dove una presidentessa bella (molto) e ambiziosa ha portato per la prima volta il Lanciano in serie B. Un giorno, si dice, allenerà il Bari, ma quel giorno è lontano, dopo che sei in vantaggio per 3 a 0 nello stadio che è stato il tuo. Accade dopo un primo strano, nel quale il Bari gioca anche piuttosto bene, colpisce un palo, spreca due occasioni incredibili con Caputo e Ghezzal e subisce. Non uno, ma tre gol. Io sono lontano. Molto lontano. A Bologna per la precisione. Mi collego a Twitter di tanto in tanto e leggo che siamo sotto di tre gol, grazie agli aggiornamenti preziosi di Marco Beltrami. Non si può perdere, davvero non si può.

Significherebbe la fine. Provo a pensare positivo, basterebbe un gol per riaprirla, mi collego con Salomone (come se fosse un’emittente, un’entità astratta ma sempre presente nelle nostre vite di tifosi), il tempo di apprendere che Sciaudone fa partire un tiro da fuori area e riapre la gara (per modo di dire). Un tiro preciso e angolato, dice Michele. La sua voce sembra leggermente rinfrancata. E spesso il tono della sua voce ha il potere di farti sentire ancora in corsa. Resto aggrappato a lui, ci credo, ci credo davvero ma più per una sorta di istinto di sopravvivenza. Se perdiamo siamo spacciati. Defendi avanza, mette un pallone al centro sul quale si avventa Caputo. Gol! Due a Tre, li prendiamo.

Devo momentaneamente staccare il cellulare, due minuti, mica tanto. Il tempo dei saluti. Ci vediamo presto. Mi infilo la giacca vado a prendere l’ascensore. Il tempo di dare uno sguardo a Facebook e leggo che il Bari è addirittura passato in vantaggio. Quattro a tre. E fa niente se mi sono perso la radiocronaca. La recupererò a casa. Ho già deciso che farò uno Storify su questa storia. Apprendo che il terzo gol è stato segnato da Defendi. Poi ci pensa Tallo, questo sconosciuto, a portare in vantaggio il Bari. E immagino le urla di Michele Salomone, il suo “non ci credo, non è mai successo prima“. Spengo tutto, non può succedere più nulla, non deve succedere più nulla. Tutto ciò che devo fare e tornare a casa per rivedere i gol, chiudere gli occhi, e immaginare di essere al San Nicola nel momento del boato. Nel momento in cui Tallo rovescia una partita decisiva in un campionato inutile. Ma tant’è. Il calcio è meraviglioso anche per questo. Perché sa regalarti emozioni indelebili fini a se stesse. Anche se non ti stai giocando la serie A. Anche in un campionato che non passerà alla storia.

Il gol di Martino Defendi

Il gol di Martino Defendi

69) Bari – Cittadella, 21 aprile 2002 – U Bàr iè fort (?)

12 Apr

Io non c’ero. Non ero uno dei 51 paganti. Mo ve l’ho detto. 

Prossima partita: Bari – Inter, 15 giugno 1989

bari-cittadella

66) Chievo – Bari, 18 ottobre 2009 – U Bàr iè fòrt (?)

15 Mar

Il bello del pallone è che a volte bastano 30 secondi a farti ricordare una partita per tutta la vita. Anche se questa partita non è la finale dei mondiali, o di Champions League. Trenta secondi vissuti, intensi, lunghissimi, che restano nella tua mente per sempre. Per questo il calcio è bellissimo anche senza tiqui taca. Perchè un batti e ribatti senza senso, in area di rigore, con giocatori che diventano muri umani e un pallone che rimbalza malissimo su un terreno infido, è spesso la vera essenza di questo sport. Di questa partita contro il Chievo conservo gli umori, il gusto, le voci, il batticuore. Le mani davanti agli occhi in quei minuti recupero, come in un film di paura. Le dita che stringono nervosamente la fodera del divano, ci si aggrappano, come ad una speranza. Respingi sto cazzo di pallone, respingilo. Quei diavoli in maglia gialla, assatanati e duri a morire, che non mollano mai.

Il Bari ha iniziato bene la sua nuova avventura in serie A. La squadra di Conte, diventata nel frattempo di Ventura, si conosce e non sembra soffrire troppo il cambio della guida tecnica. L’inizio è folgorante e il pareggio di San Siro contro la squadra che vincerà tutto lascia presagire un annata di soddisfazioni. Ma alla quinta giornata arriva la prima sconfitta in casa, contro il Cagliari. Un incidente di percorso e comunque un monito: non sarà una passeggiata. I ragazzi (all’epoca siamo lontani da pensieri atroci su scommesse e marciumi vari) reagiscono e una settimana dopo vanno a cogliere un punto importantissimo, di nuovo a San Siro, contro il Milan di Leonardo, quello che oggi ha chiesto la mano in diretta televisiva alla sua compagna, Anna Billiò. Punto fondamentale non tanto per la classifica, quando per il morale. Il Bari domina, spaventa, attacca, si rammarica per non aver vinto. Ma stupisce l’Italia, come spesso accadrà in quella stagione. Dopo uno scialbo pareggio casalingo contro il Catania, arriva la trasferta di Verona. Una trasferta difficile rispetto alle precedenti: si gioca sul campo di una diretta concorrente per la salvezza. Non c’è più da stupire, sono finite le gare di rodaggio, quelle in cui non c’è niente da perdere, è arrivata la partita che ci dirà chi siamo. Per la cronaca, è il 18 ottobre del 2009.

Ventura conferma Ranocchia e Bonucci al centro della difesa, nonostante qualcuno si ostini a chiedere l’arrivo di un difensore di esperienza al posto del secondo. Chi lo definisce distratto, chi falloso, chi disordinato. Ma Ventura non sente ragioni. Nonostante l’esperienza di Pisa (squadra retrocessa in C a fine stagione, con Giordano in panchina) ha pronosticato per Bonucci un futuro da campione. Deve solo applicarsi e ascoltarlo. Sfruttare la sua abilità nel rovesciare l’azione e avere fiducia nei propri mezzi. Fiducia che presto Leonardo conquista, e non abbandona più. Il Chievo, che viene da una preziosa vittoria a Cagliari, è squadra scomoda, sgorbutica, guidata da un allenatore che inculca alla sua squadra la stessa mentalità che aveva da giocatore: correre, correre, correre. Non tutti sanno che, in un intervista alla Gazzetta dello Sport, nientepopodimenoché Zinedine Zidane dichiarò che l’avversario che l’aveva messo maggiormente in difficoltà, durante la carriera, era stato proprio Mimmo Di Carlo. Correva come un matto, non mi faceva respirare, non toccai un pallone. Parlava di una partita della Juventus a Vicenza, nella sua prima stagione italiana.

La sua squadra va ad una velocità pazzesca, fa pressing e può contare su dei giganti capaci di fiondarsi senza paura su tutte le palle che gravitano in in cielo: Pellisier, Granoche, Bogdani, Yepes, sono brutti clienti per i colpitori di testa del Bari, che però non sono da meno. E lo dimostrano subito. Punizione tagliata di Sasà Masiello, altra (ri)scoperta di Mister Libidine, e colpo di testa astuto di Almiron che spedisce la palla nel sette, alle spalle di Sorrentino. Il suo colpo di testa è più preciso che potente, si inarca per poi abbassarsi e infilarsi nell’unico spazio consentito. Il Bari è in vantaggio e l’argentino esulta. Io pure, dal divano di casa. Non mi illudo, ma mi rassereno. Non abbiamo paura di nessuno. Il Chievo prova a rispondere subito, e ci riesce con Luciano che si mangia un gol incredibile, praticamente a porta vuota. Gillet da sicurezza, non sa ancora che finale di partita lo aspetta. Il Bari non sta a guardare, Barreto danza sull’erba del Bentegodi, Meggiorini, in tuffo, mette alla prova i riflessi di Sorrentino. Il secondo tempo inizia con un altro miracolo di Gillet, stavolta su Pellissier. Ma al 20′ il Bari legittima la sua intraprendenza. Bello il lavoro di Kutuzov, entrato al posto di Barreto, sulla fascia sinistra. Doppio passo e via sul fondo. Cross delicato per la testa di Andrea Ranocchia che svetta ancora più in alto di tutti, e fa conoscere il suo nome e le sue doti di calciatore a tutta la serie A. Lob di testa morbido morbido sul secondo palo. Sorrentino resta ferma e io posso scatenare la mia esultanza.

U Bar iè fort, penso. Zero a due, e primi tre punti in trasferta. Senza neanche soffrire magari. Magari. Poi succede che dieci minuti più tardi Yepes mette in mezzo un pallone perfido sul quale si avventa Bogdani, vecchio filobustiere dell’area di rigore (cit), che insacca. C’è sempre un Bogdani pronto a punirti, e a metterti con le spalle al muro, in ogni partita. Dovevo sospettarlo. Puoi giocare con la Reggina, col Chievo, col Cesena, col Brescia, col Siena o con il Vicenza, ma Bogdani e lì, pronto a rimettere tutto in discussione. Non sai mai da dove sbuca un attaccante che cambia di media due squadre all’anno. La partita si riapre, la mia pennichella pomeridiana, che lo 0 a 2 stava consentendo, svanisce tutta d’un tratto. Così come il segnale di Sky, all’improvviso. Cerco Salomone in streaming radio, mi fido solo di lui. Se devo soffrire, preferisco farlo con la voce di mille battaglie. Mi pento subito. Il Chievo attacca a spron battuto, io mi illudo che la parola “pericolo” stia a a significare che i padroni di casa hanno superato il centrocampo. Con Michele, spesso è così. Sento varie imprecazioni per Alvarez e una bella grossa per Meggiorini, reo di essersi mangiato, sempre di testa, un gol a porta spalancata. Un gol facile facile, dice lui.

L’arbitro concede quattro minuti di recupero. Un’eternità per una radiocronaca di Michele Salomone. Poi succede l’incredibile. Se sono qui a raccontare questa partita, lo devo a Michele e a quella incredibile mischia. Il segnale va e viene. Sento solo Noooo Bentivoglio, anzi siii, attenzione, c’è una mischia incredibile, non posso descrivervi nulla, non posso descrivervi nulla, usciamo, anzi no – e vorrei spegnere la radio e lasciar perdere perché non si può soffrire così per una partita – il pallone sulla linea, Gillet miracolo, Gillet miracolo ancora, non so dirvi chi, aiuto, il pallone portato fuori con l’anima. Eccola, la prodezza balistica di Michele Salomone. In un momento di enfasi incredibile, di confusione totale, ha trovato la poesia: quel pallone portato fuori con l’anima è l’immagine romantica di una difesa che vuole a tutti i costi portare a casa questi tre punti e si immola per farlo. Alla fine sento una parola magica, ripetuta tre volte: fuorigioco, fuorigioco, fuorigioco. Respiriamo. Ma non è finita. I gialloblu attaccano ancora, Sono duri a morire questi giocatori del Chievo! Buttano ancora il pallone avanti, ma quando finiscono questi quattro minuti? Langella fa ripartire l’azione del Bari. Alvarez è solo, e si mangia un altro gol. Ma non fa niente. Non ce ne frega niente del calcio d’angolo. L’arbitro fischia la fine. Il Bari vince la sua prima partita in trasferta e vola ad 11 punti. Spengo la radio e vado davanti allo specchio a condividere la felicità con me stesso. Ho le orecchie arrossate e la faccia un po’ tesa. Mannaggia a Salomone, mannaggia al Bari.

Prossima partita, Bari – Padova 5 giugno 1994 

Gillet, chiude la porta agli attaccanti del Chievo.

Gillet, chiude la porta agli attaccanti del Chievo.

65) Bari – Alcamo, 16 gennaio 1977 – U Bàr iè fort (?)

7 Mar

Leggendo un bellissimo libro di Michele Dalai ho trovato questa splendida definizione: “Sono disposto ad ammettere che il calcio sia la cosa più seria tra le cose poco serie e la meno seria tra quelle serie, un limbo in cui si colloca appena sopra la teologia e l’astrologia e molto sotto la medicina e il bricolage. Ciò non toglie che il tifo e i suoi derivati siano una formidabile voce attiva per l’economia mondiale”. Ecco, a Bari questa voce attiva è ferma da diverso tempo. Negli ultimi dieci anni si è palesata soltanto in due stagioni, una e mezza per essere precisi. Quanti caffè vengono consumati, quante birre, quante copie di giornali illeggibili, quanti abbonamenti a televisioni satellitari, quante maglie di giocatori che solo dopo un anno vanno altrove e quindi verranno sostituite? Quindi, pur nella sua serena accettazione del calcio e della sua dimensione ludica, permettetemi di considerarlo un gioco importante, uno di quelli per cui vale la pena persino litigare o sprecare parole di fuoco. Senza eccedere. Stiamo pur sempre parlando di un gioco. Una settimana fa, dopo la sconfitta in casa contro il Verona, ho provato un senso di sconforto. Di quelli che, per carità, a guardare il Bari ti prendono spesso. Ma stavolta davvero ho avuto la percezione di una storia arrivata al culmine, nel peggiore dei modi. Con una squadra abbandonata, una Società e una città indifferenti a questo crollo.

Eppure un tempo, a Bari, si sono viste anche partite e categorie peggiori. Ma c’era l’entusiasmo. E l’entusiasmo è tutto ciò che serve per passare una domenica allo stadio e farsela bastare, per essere felici. Nel 1977 non ero ancora nato, e il Bari giocava in serie C, quella che oggi qualche manager moderno e poco ispirato ha deciso di chiamare Lega Pro. Me ne fotto, non mi avranno. Per me si chiameranno sempre così: C1 e C2, le ultime due gare della schedina, quelle che sparavi a caso ed erano quasi sempre X. Quelle che ti mandavano a puttane il 13 perché succedeva sempre qualcosa di strano. Un giorno capirò anche perchè Tempio – Olbia si giocava almeno 10 volte all’anno. Sicuramente si trattava di una congiura indipendentista sarda. Ma torniamo a noi: il mio amico Leonardo mi racconta che, nonostante la categoria e l’infimo livello tecnico, lo Stadio della Vittoria era sempre pieno. Altri tempi, dirà qualcuno. Ma cosa esattamente ci rendeva così attaccati alla squadra, alla maglia, per andare a vedere una partita come Bari – Alcamo e riempire i distinti e le curve in ogni ordine di posto? Erano i tempi delle prime radiocronache di un giovanissimo Michele Salomone (a proposito, chiunque abbia trovato il suo tablet glielo renda, fatelo per la Bari), fatte con il walki- talkie e poi rigirate da qualche tecnico volenteroso da una cabina telefonica o da un telefono di un bar vicino allo stadio.

I tifosi usavano l’espressione andare al Campo (lo stadio era San Siro), i biglietti costavano 3000 lire e molte famiglie, dopo il lauto pasto domenicale a base di braciole di cavallo (altro che Buitoni e le sue tracce), si accomodavano in tribuna. Non c’erano le cancellate che dividevano le curve e quindi chi non riusciva ad occupare i posti centrali durante l’intervallo si spostava da una curva all’altra per vedere da vicino i gol del Bari. C’erano i venditori di Borghetti (una delle poche cose rimaste identiche, nel calcio) chi vendeva le ciungomme con lancio millimetrico, chi vendeva il parasole, che non era altro che un ritaglio di cartone a forma di boomerang con pinzato l’elastico, chi vendeva le bibite della Appia Drink Pack. Bibite contenute in involucri di alluminio a forma di piramide. La leggenda narra che si doveva forare questo involucro con la cannuccia per poi bere l’aranciata, il chinotto o la cola. La difficoltà consisteva nel forare quel maledetto e inespugnabile involucro tanto che molto spesso la bevanda diventava calda a furia di tentativi mancati. Spariranno dal mercato negli anni successivi, per la felicità della Tetrapak.

Ma torniamo alla partita. Il Bari, al terzo anno consecutivo di serie C girone meridionale, dopo un secondo posto nel 1975 ed un terzo nel 1976, allenata da Giacomo Losi, detto er core de Roma, veleggia in testa alla classifica a parecchi punti di distanza dalla seconda classificata. Parliamo nientepopodimenoche della Paganese. Ultimo anno del Prof. Angelo De Palo, presidente galantuomo, illustre ginecologo, scomparso nel ritiro del Bari durante l’estate successiva. In campo c’erano Ferioli in porta, Maldera II, fratello del giocatore del Milan Maldera III (una volta si usava distinguere i fratelli con il numero, ricordate la leggenda di Sentimenti IV?), Angioletto Frappampina, barese verace, forte terzino fluidificante, il rosso Punziano stopper e Consonni libero. A centrocampo Sigarini, Materazzi (futuro padre di Marco ed allenatore del Bari in due occasioni), l’altro Barese Sciannimanico e D’Angelo in regia. Con il numero 7  Scarrone, eccelso rigorista, e di punta Nico Penzo (capocannoniere con 16 goal ). Quest’ultimo si alternava con altri tre attaccanti della rosa: Asnicar che aveva sostituito a novembre Italo Florio idolo della tifoseria barese, noto per essersi seduto per protesta su un pallone qualche anno prima, Raffaele, altro prodotto del vivaio, e Biloni, un’ottima seconda punta, antesignano di Raducioiu, contestato dalla tifoseria barese per i tanti errori sotto rete, ma che assieme agli altri sarà comunque determinante ai fini della promozione.

Quella freddissima domenica del 16 gennaio, penultima di andata, si presenta a Bari una squadra del profondo sud della Sicilia che a me, laureato in lettere, ricorda una sola cosa: i versi di Cielo d’Alcamo. La cronaca narra che giocasse su un campo molto simile a quello del Di Cagno Abbrescia in giornata di gloria. Arriva a Bari da ultima in classifica e senza nemmeno tutti i giocatori in panchina. Pare fossero in tredici e non avessero neanche la maglia da trasferta, dimenticata in Sicilia. Cosa che obbliga il Bari a scendere in campo in divisa rossa. Si preannuncia la più classica delle vicuate (termine barese col quale si suole parlare di goleade). Ma succede che l’Alcamo, in maglia a righe bianconere, sembra la Juventus. Resiste con i suoi 11 eroi per un giorno agli attacchi di uno svogliato e infreddolito Bari, mostrando persino un bel calcio. Il primo tempo finisce 0 a 0 e Leo mi racconta che tra gli spettatori inizia a insinuarsi il pessimismo.

Arrivano, Arrivano – il sapientone di turno tranquillizza i distinti – a queste squadre basta farne uno e poi gli altri sono a seguire!

E invece non solo il gol non arriva, ma un certo Falce, all’inizio del secondo tempo, porta in vantaggio l’Alcamo. Per tutto il resto del tempo il Bari cerca di almeno pareggiare, ma gli attacchi diventano sempre più affannosi, mentre la squadra avversaria capisce che può uscire dal Della Vittoria con il bottino pieno. Niente da fare, il fortino è inespugnabile, la partita finisce 0 a 1. Gli ospiti festeggiano come se avessero espugnato il Bernabeu, i baresi escono a testa bassa, ma non ci sono fischi per loro. Il rito della domenica di festa continua. Anche in serie C. Anche dopo aver perso contro l’ultima in classifica. Anche se fa un freddo cane, che se stavamo a casa a guardare Domenica In era meglio. Ma chi ci crede. Per la cronaca il Bari, già matematicamente promosso, perderà per 2-1 anche al ritorno. Nonostante i quattro punti regalati (la mia mentalità post moderna stava per farmi dire 6) l’Alcamo retrocederà a causa della differenza reti. Saranno il Licata (con Zeman) e l’Acireale (di Papadopulo) a rappresentare la provincia siciliana negli anni a seguire.

ps: approfitto di questo (mio) spazio per dirvi che è uscito il mio nuovo romanzo, Domani no. Se vi piace come scrivo perchè non provate a dargli un’occhiata?

Ringraziamenti: Leonardo Losito

Prossima partita: Chievo – Bari, 18 ottobre 2009 

Una formazione dell'Alcamo anni '70

Una formazione dell’Alcamo anni ’70

64) Bari – Milan, 8 giugno 2000 – U Bàr iè fort (?)

6 Feb

Mi piace dare uno sguardo alle vecchie formazioni dei campionati Primavera. Scorrere quei nomi colmi di speranza, ricordare le promesse e le scommesse che avevamo fatto un tempo. Questo diventerà un campione, vedrete. Ne ho viste e sentite tante. Poi puntualmente succedeva qualcosa: un ginocchio malandato, un prestito sbagliato, un’occasione persa. E poi il dimenticatoio. Scorro formazioni intere, almanacchi pieni di nomi e foto per ricordare chi ha mantenuto le promesse e chi è riuscito quantomeno a calcare un campo di una lega professionistica. Poi penso a tutti quelli che invece non ce l’hanno fatta, ad un passo dal sogno, e mi chiedo adesso cosa fanno quei ragazzi della mia stessa età. Un’età che si presta a varie interpretazioni. Giovane per qualcuno, vecchio, irrimediabilmente vecchio, per il calcio. Mi viene in mente la canzone di Francesco De Gregori, quando parla di giocatori tristi che hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro, e adesso ridono dentro un bar. La loro storia non è cronaca calcistica, ma letteratura. E su ognuno di loro, statene certi, si potrebbe scrivere un romanzo. Come fanno certi autori anglosassoni, quelli ai quali mi ispiro.

Accade che in una notte di giugno del 2000 il Bari si giochi la finale di un titolo nazionale. Sì, è davvero lo scudetto e anche se non è quello dei grandi seguiamo con orgoglio, fino alla finale di Misano, le gesta di quei ragazzi che stanno portando il nome della Bari sulle prime pagine dei giornali e in televisione. Un giorno, chissà, potrebbero calcare il terreno del San Nicola e vincere qualcosa di importante. Questo pensiamo. La squadra dei grandi arranca, ma riesce a salvarsi in serie A. Noi però possiamo puntare forte su questi ragazzi che presto faranno parte di un grande progetto di squadra giovanile, stile Ajax o Arsenal (sogniamo). Una squadra che nel triennio 1997 – 2000 conquista in sequenza il trofeo di Viareggio (uno dei più prestigiosi tornei internazionali giovanili), la Coppa Italia, e lo Scudetto. Sempre sotto la guida di Lello Sciannimanico, un allenatore al quale viene pronosticato un futuro da vincente nel calcio che conta. Anche perché in molti, a Bari, non sopportano più Fascetti e non vedono l’ora che venga rimpiazzato da un giovane e rampante allenatore.

Nel Bari manca il talento più grande, il genio assoluto, quello che in una notte di dicembre ha già fatto capire che con i compagni della Primavera non ha davvero molto a che spartire. Si chiama Antonio Cassano, e fa già parte del gruppo della prima squadra. Sciannimanico lo sa e gli risparmia questa finale, approfittandone per dare spazio ad altri due attaccanti. Uno dei due ha già fatto parlare di sé, sempre in quel magico 18 dicembre. Quando una serie incredibile di eventi mise fuori causa tutti gli attaccanti di Fascetti e lo costrinse a schierare due esordienti: il genio di Bari Vecchia e Hugo Chucku Enyinnaya, velocissimo centravanti nigeriano che al primo pallone toccato mandò letteralmente in estasi il San Nicola. Poi svenì per l’emozione. Si presenta alla fase scudetto leggermente in sovrappeso, ma le sue qualità non si discutono. Tocca a Chisena fare coppia con lui. A supportarli Davanzante e Antonio Lafortezza, classe 1982. Per lui il Bari ha già rifiutato somme importanti. Centrale di centrocampo, ama il pressing e la costruzione del gioco. Gli esperti di calcio dicono che assomigli a Ivan De la Pena. Non solo per il suo look ma soprattutto per le movenze e i gesti tecnici.

Da segnalare anche i cugini Anaclerio. Un buon marcatore, Michele e un altro gioiello di casa Matarrese, Luigi. Insieme a Fumai verranno presto aggregati alla prima squadra. Di fronte c’è il Milan. Si parla un gran bene dei due attaccanti Bau e Aliyu, entrambi classe ’82. Chi si intende di campioni dice che saranno il centrocampista Agazzone e l’ala Aubameyang i crack del futuro. Ma in finale non sono presenti. Gioca invece Rabito, 1980, attaccante esterno di grande velocità, già nell’orbita della prima squadra. In pochi parlano di Budel e Donadel, centrocampisti di quantità che rendono difficile la vita dei mediani baresi. Sciannimanico, per arginare il temibile tridente del Milan, corregge l’assetto tattico presentando tre marcatori davanti al gigantesco libero Carrozzieri. Si tratta di Abbrescia, Ingrosso e Antonelli. Oltre all’organizzazione tattica il Bari mette in campo un buon temperamento, grazie al quale argina le velleità rossonere e si crea diverse occasioni da gol sbagliate però dai frettolosi attaccanti. All’ultimo minuto del primo tempo il Bari reclama un calcio di rigore, ma l’arbitro Zambon (interessante anche capire se loro, gli arbitri, hanno mantenuto le promesse) decide di sorvolare.

Secondo tempo: il Bari continua a strapazzare i rossoneri, ma il gol non arriva. Il pubblico neutrale prende però le parti dei ragazzi di Scannimanico. Accade spesso quando non sei una grande. Guardo la partita in sezione, mi scopro teso e tifoso, anche non si tratta della prima squadra. Ce la stanno mettendo tutta, non possono fallire. E poi Chisena e Fumai triangolano bene, strappando anche i sorrisi e gli applausi di Arrigo Sacchi, che siede in tribuna. Cavaliere e Ingrosso lasciano le due squadre in 10 uomini e la partita non si sblocca nonostante l’ingresso di Novembrino e di Abbrescia. Si va ai supplementari con la sensazione che se si volesse davvero bene ai questi ragazzi bisognerebbe evitargli questo supplizio e fargli battere direttamente i rigori. Ma al 7′ minuto il Bari conquista un calcio di punizione. Lafortezza si incarica della battuta. Cross teso verso il centro dell’area dove sbuca la testa di Moris Carrozzieri. Uno che si chiama in quel modo per all’anagrafe di Giulianova non avevano capito che i genitori avrebbero voluto chiamarlo Mourice. E allora Moris svetta più alto di tutti quei ragazzi nel pieno della vitalità di un atleta e batte Musella, fino a quel momento decisivo. Per Sciannimanico e per il Bari è il gol che vale lo scudetto. Per il gigantesco libero di Giulianova l’inizio di una carriera lontano dal San Nicola. Niente Bari per lui, come per un altro centrale che qualche anno prima fu decisivo nel torneo di Viareggio: Nicola Legrottaglie. Ma non posso saperlo, allora. Ci abbracciamo come se avessimo vinto davvero lo scudetto. Mi sento orgoglioso di questo titolo e faccio l’esperto di pallone con i miei amici. Avete visto la finale primavera? Vi dico quattro nomi di ragazzi che diventeranno campioni. Ne avessi azzeccato uno.

Che fine hanno fatto?

Antonio Narciso: squalificato per  1 anno e 4 mesi in seguito al calcioscommesse

Moris Carrozzieri: difensore del Varese (nel 2008 squalificato per un anno per uso di droga)

Giuseppe Ingrosso: difensore Cerignola

Nicola Fumai: centrocampista Liberty Monopoli

Antonio Lafortezza. centrocampista Bisceglie

Hugo Enyinnaya: ultime squadre Lechia Gora, Aziolavino, Meda, Zagarolo

Si ringrazia Giuseppe Balenzano, prezioso archivio storico e grande tifoso del Bari, per le informazioni gentilmente fornite!

E grazie a Nicola Ippolito di Basette Goal per le fotografie d’annata!

Prossima partita: Bari – Alcamo, 16 gennaio 1977

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63) Bari – Cesena, 23 novembre 1980 – U Bàr iè fort (?)

18 Gen

Sono nato nel 1979. Di conseguenza la mia memoria storica da tifoso ha dei confini piuttosto definiti. Dal 1984 al 1988 sono un tifoso semicosciente. Dal 1989 in poi sono un tifoso preparato. Ma per fortuna non sono più solo in questa avventura. Se voglio arrivare a 100 partite devo coinvolgere altri tifosi, appassionati, baresi come me che possano aiutarmi a portare avanti questo progetto. Un percorso che, statene certi, arriverà a 100 partite. Come promesso. Per raccontare il 1980 non potevo che rivolgermi al mio amico Leonardo Losito. Non sapevo molto del Bari allenato da Mimmo Renna, allenatore leccese che tre anni prima aveva portato in serie A con 61 punti l’Ascoli stabilendo il record dei punti conquistati per la serie cadetta e distanziando di ben 17 lunghezze la seconda. Ingaggiato a suon di milioni dai Matarrese (ve l’ho detto io che è una dittatura illuminata quella della famiglia) al suo primo anno non riesce ad ottenere i risultati sperati a causa di un doppio infortunio durante la partita di Verona che mise K.O. i due attaccanti titolari Luciano Gaudino e Giacomo Libera.

In Italia era scoppiato il primo grosso scandalo legato al calcio scommesse. Alcuni giocatori furono arrestati durante il campionato. Tra questi Paolo Rossi, Lionello Manfredonia e Ricky Albertosi. Risultato: retrocessione in B del Milan campione due anni prima e secondo quell’anno e della Lazio, penalizzazioni di 5 punti per Palermo e Taranto. A completare quel torneo cadetto Sampdoria, Genoa, Verona e Cesena. Una discreta serie B insomma. Per questo, nonostante abbia mancato l’obiettivo, Renna resta in sella e chiede a Matarrese nuovi rinforzi: in porta Marcello Grassi, un ottimo portiere preso dal Perugia, i terzini sono il solito Frappampina e Punziano, il libero è Belluzzi, un giocatore definito trottolino sempre in piedi, perché nonostante gli sgambetti che subiva era sempre in grado di rialzarsi. Il ruvido stopper Canestrari (che goal contro il Milan al ritorno) in mediana La Palma che aveva sostituito Manzin passato al Lecce assieme a Graziano De Luca, a centrocampo i due Carmelo: Bagnato e La Torre, assieme a Bacchin, Vincenzo Tavarilli, gioiello barese esordiente nell’under 21 e Rosario Sasso, centrocampista abile a segnare su punizione. In attacco due giovani dal futuro roseo, più di quanto i tifosi avessero previsto: Maurizio Iorio indimenticato bomber del Bari di Catuzzi, e d Aldo Serena, ventenne giunto in prestito dall’Inter dove ritornerà a fine stagione. Per la cronaca, l’attuale commentatore Mediaset (foto) diventerà il primo giocatore a giocare e segnare nei due derby di Milano e Torino con le maglie di tutte e quattro le squadre. Giocherà anche i mondiali di Italia ’90 sbagliando uno dei due rigori nella disgraziata semifinale con l’Argentina (l’altro lo sbagliò Donadoni). Curioso il fatto che Aldo segnò con il Bari 10 gol, tutti nel girone d’andata. La leggenda (che non riguarda solo lui) narra che l’Inter, che aveva già deciso di farlo rientrare dal prestito, gli avesse ordinato di risparmiarsi nel girone di ritorno.

Il 23 novembre 1980, allo stadio della Vittoria, si gioca l’undicesima giornata di serie B. Mi faccio raccontare da Leonardo quella partita perchè scopro dalla cronaca che quella giornata fu molto significativa, non certo per merito (o demerito) del calcio. Mi racconta che quel Cesena è squadra fortissima, ben impostata dal tecnico Osvaldo Bagnoli (il mago della Bovisa, vincerà uno scudetto con il Verona e allenerà anche Genoa e Inter), schiera tra le sue file giocatori che ben figurano in categoria come il portiere Recchi, i difensori Mei, Ceccarelli, Oddi e Perego, oltre un giovane Bonini destinato a vestire la maglia della Juventus. In attacco lo sgusciante Garlini e Giovanni Roccotelli, barese verace di Poggiofranco, giocatore molto tecnico, e secondo Leonardo inventore della Rabona. In compenso, nella squadra della sua città, non giocherà mai. Le due squadre provano a superarsi nel primo tempo ma senza nessun sussulto. In tribuna è presente nientepopodimenoche Giulio Andreotti, sportivo appassionato di passaggio a Bari. Andrà via, piuttosto deluso, durante l’intervallo. Seconda frazione di gioco: il Bari prova a superare la difesa cesenate, la la squadra bianconera in maglia granata resiste , grazie alla superba prova dei centrali Mei e Ceccarelli, e ad un catenaccio di altri tempi e finisce 0-0. Renna l’allenatore arrivato per riportare la Bari in serie A inizia a percepirei primi segnali di malumore del pubblico. Il Cesena avanti di due punti rispetto al Bari dimostrerà la propria forza durante il resto del campionato raggiungendo e superando la Lazio all’ultima giornata (rigore di Chiodi contro il Vicenza sbagliato al 90′) e approdando in serie A assieme al Milan e al Genoa, Il Bari alla 27esima, dopo la sconfitta di Genova, esonererà Renna sostituendolo con Catuzzi. Che darà vita al Bari dei Baresi. Ma non è certo la partita contro il Cesena l’evento indimenticabile di quella giornata.

Alle 19 e 35 la terra tremò. Il Terremoto, è successo il terremoto. Anche mia madre e mio padre mi raccontarono quell’episodio. Eravamo a Taranto, io avevo un anno, e la luce andò via mentre il lampadario non smetteva di oscillare. Si sentivano le urla, c’era gente che correva per le scale o prendeva l’ascensore ignorando le regole basilari della salvaguardia personale. Uno dei più importanti terremoti del Sud Italia. L’epicentro era l’Irpinia e ancora oggi paghiamo il dazio (in tasse, controllate pure) di quella tragedia e di una gestione avventurosa dell’affare da parte dei politici di allora. Nonostante questo Leonardo mi racconta che Sandro Pertini atterrò in Irpinia meno di 24 ore dopo, promettendo aiuti agli sfollati. Aiuti che arrivarono, insieme ai container dove molte famiglie dell’avellinese sono ancora costrette ad abitare. Una tragedia immane, un ricordo ancora fortissimo per chi si vide privato degli affetti e delle cose più care. Ecco come una partita insignificante può diventare importante. Come quella volta che andai allo stadio e si giocava contro il Parma. E per radio passava la notizia che durante la notte Lady Diana si era schiantata in una galleria, e forse quello schianto non era stato solo uno scherzo beffardo del destino. O quell’altra volta che, sempre a causa di un brutto incidente, perse la vita il più grande pilota di F1 di tutti i tempi: Ayrton Senna. Anche quella volta finì 0 a 0. Si giocava contro il Venezia. Erano le 14.17 del 1 maggio 1994 e io ero già dentro lo stadio. Ma questa è un’altra storia.

Prossima partita: Bari – Milan, 8 giugno 2000

Aldo Serena, oggi commentatore Mediaset, con Leonardo Losito

Aldo Serena, oggi commentatore Mediaset, con Leonardo Losito

62) Bari – Juventus, 23 febbraio 1992 – U Bàr iè fort (?)

3 Gen

La classifica dice che non è impossibile, la salvezza. Il Verona è lì a 2 punti, il Foggia di Zeman, partito alla grande, è distante solo 4 punti. Così come la Fiorentina mentre, due punti più su, c’è la Roma di Ottavio Bianchi. Il problema è che il Bari degli investimenti faraonici non è partito per salvarsi. In estate Matarrese non ha badato a spese. Ha costruito una squadra senza capo nè coda, preoccupandosi di farcire una torta insipida con gustose ciliegine. Tra queste il bomber (o presunto tale) australiano Frank Farina e, soprattutto, il talentuoso inglese David Platt. Il pubblico barese ha conosciuto il baronetto di Sua Maestà in occasione di Italia – Inghilterra, finale per il terzo posto dei Mondiali. Ma la love story tra il giocatore e la società di di Vincenzino Matarrese, raccontano gli storici, è iniziata molto tempo dopo. Pare che nel febbraio dell’anno seguente il tecnico Gaetano Salvemini, osservando una partita con il suo presidente, si lasciò sfuggire questa affermazione: “A Bari ci vorrebbe uno come Platt“. Matarrese prende nota e un paio di mesi più tardi si reca a vedere Aston Villa – Manchester United. Ecco, giusto per dare un’idea dei tempi, magari ai più giovani. I primi ’90 sono anni in cui un giocatore pur di venire in Italia lascia una squadra da quarto posto in Premier League (allora semplicemente Big League) per giocare nel Bari. Un Bari ambizioso, in ogni caso. La finalina mondiale e la finalissima di Coppa dei Campioni dell’anno seguente hanno fatto conoscere il San Nicola a livello internazionale. Adesso manca una squadra che “entri in Europa dalla porta principale“.

Eccolo il ritornello preferito della famiglia Matarrese. “Questo è il nostro nuovo capitano“. Il Presidente sorride davanti alle tv nazionali, Salvemini (col senno di poi) non sembra troppo convinto. Dovrà assemblare una squadra che molti critici giudicano fortissima. In realtà si parla poco di due cessioni importantissime, quella di Carrera alla Juventus e quella di Maiellaro, alla Fiorentina. A turbare il tecnico di Molfetta c’è un’aspettativa molto alta nei confronti della squadra, il fatto che i giocatori inglesi hanno puntualmente fallito nel calcio italiano e il problema della coesistenza tra Farina, Platt e Joao Paulo da molti indicati come il trio delle meraviglie. In realtà di meraviglie se ne vedranno poche e il trio giocherà meno di un mese assieme. Joao si romperà tibia, perone e carriera in uno sciagurato scontro con Lanna durante una partita contro la Sampdoria di Boskov. Farina verrà ceduto due settimane dopo e sulle spalle di Platt graverà tutto il peso di una stagione sciagurata. Talmente sciagurata che dopo la sconfitta di Torino contro la Juventus (quinta giornata) Salvemini rassegnerà le dimissioni.

La Società sceglie inspiegabilmente Boniek, un allenatore già retrocesso l’anno prima con il Lecce, corteggiato dal Pisa (serie B) e più bravo con la dialettica che con gli schemi. Lo dimostrerà negli anni successivi trovando una collocazione più consona negli studi della DS come opinionista. Ai tifosi Zibì piace. Tanto che la curva nord si schiera con lui dinnanzi ad un possibile ritorno di Salvemini. In B ma con Zibì. E così sarà. Il 23 febbraio del 1992 Si gioca la quinta giornata di ritorno. Il Bari ospita la Juventus e stavolta Platt non c’è. Il capitano è squalificato e il peso dell’attacco grava sulle spalle dello “Skhuravy dei senza tettoAntonio Soda. Lui che l’anno prima ha punito due volte la Juventus. Lui che, insieme a Brogi, rappresenta l’alternativa pane e salame al sogno estivo dei tifosi. Fortuna che nel mercato di Gennaio sono arrivati due giovani croati (all’epoca slavi) di grande prospettiva. Il terzino Robert Jarni e il fantasista Zvonimir Boban. Quest’ultimo arriva in prestito dal Milan, ha talento e già esperienza europea. Fa fatica ad ambientarsi e soffre probabimente la coesistenza con Platt.

Forse per questo quella contro la Juventus sarà la sua migliore partita. Non dimentichiamo che Boban è uno dei primi slavi ad arrivare in Italia a 20 anni. Fino all’anno primo vigeva infatti la regola che i talenti jugoslavi non potessero lasciare il proprio paese prima dei 25 anni. L’atmosfera dello stadio è elettrizzante. 55.000 spettatori (di cui ben 22.000 abbonati) e una curva gremita. Tanto che mio padre, per l’occasione, mi porta in tribuna Ovest dove ci sono Loseto, Joao Paulo e Gerson con figlioletto al seguito. Quest’ultimo è un ex, ma qualche anno più tardi tornerà a Bari dove suo figlio imparerà il dialetto. La Juve è seconda dietro al Milan ma esprime un trapattonismo esasperato. Schillaci è la copia sbiadita e impalpabile del Totò Mundial. Baggio non incide e Casiraghi non riceve neanche un pallone giocabile. Marocchi e Conte si preoccupano di difendere e il Bari ha buon gioco nonostante le assenze. Boban mette due volte Soda in condizioni di sbloccare il risultato ma Tacconi è prodigioso in entrambe le occasioni. Al 30′ ci prova Cucchi con un tiro da fuori che finisce alto.

La Juve si affaccia solo al 10′ della ripresa con Reuter che lascia sul posto Calcaterra e mette al centro. Terracenere (migliore in campo) anticipa Baggio e gli sradica dai piedi un pallone che finisce però sul sinistro di Galia. Tiro centrale e Alberga para con sicurezza. Sarà l’occasione più importante della Juve. Poco per una squadra che vuole impensierire il Milan nella lotta al titolo. Il Bari inizia a crederci. Siamo al minuto 27 della ripresa quando Jarni impressiona per la prima volta i miei ricordi di giovane tifoso. La sua accelerazione è bruciante e Corini non può fare altro che sgambettarlo per evitare che entri in area centralmente. Punizione dal limite. L’altro giovane croato accarezza il pallone. La barriera si sistema. Zvone si ricorda di quando nella Dinamo Zagabria ogni punizione era un pericolo. Come quella volta in coppa Uefa contro l’Atalanta quando segnò e si fece conoscere in tutta Europa. Lo stadio trattiene il fiato. La curva grida “ooooo….” in attesa del fischio dell’arbitro. Che arriva. Boban parte. Il pallone aggira la barriera, Tacconi si tuffa, ma è tardi. Il pubblico si alza in piedi. Un moto spontaneo, quasi a voler accompagnare quella parabola perfetta, vincente. Una frazione di secondo e l’urlo potrà uscire dalla gola. Invece resta strozzato, impotente, e si scontra contro un palo ingiusto che ricaccia il cuoio verso l’area di rigore dove Julio Cesar (un libero assai avventuroso) arriva prima di Soda e può spazzare. Boban si mette le mani su capelli da spot televisivo, qualcuno impreca, io do un calcetto leggero al sediolino avanti a me. Se giochiamo così ci salviamo, dice quel filosofo di mio padre. Il problema è che giocheremo così fino ad uno sciagurato derby contro il Foggia. La grande occasione. Ma questa è un’altra storia. Che vi racconterò.

Prossima puntata: Bari – Cesena, 23 novembre 1980

Loseto, Gerson (con il figlio) e Joao Paulo assistono al match contro la Juventus.

-1Il giovane Boban appena arrivato a Milano, prima di essere girato in prestito al Bari. La copertina del Guerino è dedicata ad un altro grande crack del calcio jugoslavo: Dragan Stojkovic che però a Verona non riuscirà a dimostrare tutto il suo valore.

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61) Bari – Inter, 16 gennaio 2010 – U Bàr iè fort (?)

20 Dic

Non provate a cercare un biglietto. Non lo troverete. Non provare ad avvicinarvi al San Nicola perchè questa è una di quelle notti in cui si fa la storia. I tifosi lo sanno e i tagliandi vanno a ruba prima ancora di essere messi in vendita. La crisi c’è, ma il barese lo sa che un momento come questo potrebbe non tornare più. Questione di abitudini. Troppe volte è già capitato. Sappiamo la storia, la conosciamo a memoria anche se ogni tanto ci illudiamo che non sia così. Ma è una nenia, e abbiamo imparato a conviverci. Allora tanto vale approfittare. Il girone di andata è finito con il Bari tra le grandi. Battuta anche l’Udinese nel giorno dell’epifania, la sconfitta di Firenze di una settimana dopo (con gol di Castillo che non esulta) è solo un incidente di percorso. Immeritato tra l’altro. Il Bari gioca bene, corre, mette in difficoltà l’avversario, in casa e fuori. Diverte.

Arrigo Sacchi ringrazia in eurovisione Ventura per lo spettacolo e l’organizzazione. Più che la sconfitta preoccupa l’infortunio capitato al giovane Andrea Ranocchia. Il difensore, in odore di convocazione mondiale, dovrà rinunciare a questo sogno. Sei mesi di stop per lui. Il Bari perde il centrale più forte, ma Ventura saprà sopperire con l’organizzazione difensiva e lo spostamento di un giocatore che non voglio più nominare a questa pesantissima assenza.Il biglietto ce l’ho. L’ho pagato, anche se allo stadio potrei andarci gratis, come tesserato FIGC. Ma è meglio non rischiare. Si gioca di sabato sera, il 16 gennaio del 2010. L’atmosfera è elettrizzante. Casse al massimo del volume, telecamere ovunque, la sensazione di essere ad un passo dell’Europa, e non solo per la classifica. Mourinho fa un giro di campo e sembra fare con la testa. Si sa che Josè ama collezionare cartoline dagli stadi, e questo è di suo gradimento. La cornice di pubblico, l’avversario, i colori rendono questa sfide più affascinante di quello che pensava. Per la sua testa passano molti pensieri e sicuramente diverse certezze. Il triplete è solo un sogno, non un’ossessione. E il Bari non è il Barcellona, ma a fine stagione sarà una delle poche squadre a non aver perso contro la corazzata nerazzurra.

Ventura resta fermo, a bordo campo. Raccoglie gli applausi della curva e quelli della tribuna est. Guarda i suoi ragazzi da bordocampo, non dice niente, li osserva come un insegnante di calcio. Chissà se per la sua testa passa il pensiero di un altra notte magica. Era sabato sera e c’era Sky. L’avversario era la Juventus. E fu demolito. Ma questa Inter è un’altra cosa. Lo sanno tutti. C’è Milito, c’è Balotelli, c’è Pandev, c’è Snejider. La formazione fa tremare i polsi. Ma il Bari, all’andata, ha già fatto uno scherzo ai campioni d’italia. Una partita perfetta e un pareggio dolcissimo, come prologo di un campionato indimenticabile. Passano i minuti e l’atmosfera si fa sempre più magica. Parte l’inno, Bari grande amore, e lo stadio cerca la migliore prestazione. Canta a squarciagola. Come se ogni barese, attraverso la tv, volesse entrare nelle case degli italiani a ricordare che sì, ci siamo anche noi e non siamo inferiori a nessuno. Nel Bari manca anche Almiron, ma non si vede. La prima occasione è per Sneijder. Un tiro insidioso che da l’illusione del gol. Il primo brivido. E l’ultimo, del primo tempo.

Alvarez si avventura in diversi uno contro uno. Li vince e va puntualmente sul fondo costringendo la difesa dell’Inter ad affannosi recuperi. C’è da stropicciarsi gli occhi e darsi dei pizzicotti ogni tanto. Per capire se è tutto vero. Da manuale l’azione che al 31′ vede Koman servire Parisi con un no look. Tiro di prima e respinta del portiere. Barreto alterna guizzi brucianti a rifiniture brillanti e solo un grande Julio Cesar evita all’Inter di capitolare nei primi 45 minuti. Quelli che ricorderemo per aver visto una piccola squadra giocare da grande e una grande (per i sacri almanacchi una delle più grandi) giocare da provinciale. L’intervallo ha il sapore del Borghetti e delle caldarroste portate da casa. Siamo a un passo dall’Europa, d’accordo, ma con le nostre tradizioni. Qualcuno tira fuori dallo zaino panini con la braciola con tanto di stuzzicadenti per tenerla arrotolata. Se proprio un giorno arriveremo a giocare l’Europa League (adesso la chiamano così, e noi che sognavamo la Coppa Uefa) vogliamo farlo così. Con i nostri panini, la braciola, gli gnimirridd. Non è questa, in fondo, la vera magia del calcio? Il Bari ricomincia a correre con un ritmo ancora più forsennato. Chi credeva che le energie fossero finite dopo il primo tempo deve ricredersi. Il tempo di una bella punizione di Sneijder. Gillet si allunga e devia in angolo. Come un gatto. Il Gatto di Liegi mette la sua firma sulla partita.

Poi succede che Gazzi lancia Meggiorni che taglia la difesa in due. Cross al centro e mani plateale di Samuel. Calcio di rigore. Meggiorini esulta come se avesse segnato. Io predico la calma. Come al solito. Non riesco mai a godermi qualcosa per intero. Maledetta saggezza. Il minuto è il 15′ e Barreto spiazza Julio Cesar. Delirio. Passano due minuti. Koman legge la sovrapposizione dello scatenato Parisi. Che si beve Lucio come un bicchiere di vodka. Secco. Lucio lo stende e costringe l’arbitro ad assegnare il secondo rigore della serata. Barreto cambia angolo, ma la musica è la stessa. 2 a 0 e stavolta mi sembra davvero di sognare. Lo stadio diventa una discoteca. Si canta (in un inglese discutibile, l’Europa è ancora lontana), si salta e si balla. Barreto mostra a tutti la maglia di Ranocchia. Nel trambusto si sente una voce. Viene dalla curva e resterà nella storia. Dice una frase semplicissima, ma riassume tutti i nostri sentimenti: “Moooo… e chiss so l’ cambiun? E u Bàr c’cos ie?? Uagnù, U Bàr iè fooort!!*” Ecco, avrei voluto fermare il tempo in quell’istante. E forse l’ho fatto. L’Inter di Mourinho era troppo forte per non riprendere in mano quella partita. Un tiro di Balotelli al 23′, una carambola, il pallone che finisce tra i piedi di Pandev bravo a non farsi ingolosire dall’assist a Milito in fuorigioco. 2 a 1. Manca troppo tempo. E infatti 5 minuti dopo Bonucci atterra Pandev. Meriterebbe il rosso, per onor di cronaca. Ma ci va bene. Solo rigore. Che Milito trasforma. 2 a 2.

Adesso un’altra squadra qualunque perderebbe la partita. Invece il Bari reagisce. E Barreto mette Alvarez solo davanti al portiere. Stavolta l’hondurenho si impappina. Sbaglia il controllo e perde l’attimo per la disperazione dei 50.000 del San Nicola. E non è l’ultima occasione. Meggiorini inventa un tiro da fuori insidiosissimo, che per poco non riporta il Bari in vantaggio. Il Bari non concede all’Inter altre occasioni. Mourinho non riuscirà a battere il Bari. Sarà festa, nonostante il pareggio e il sogno accarezzato. Sarà una notte da non dimenticare mai. Uno dei punti più alti della storia del Bari. Torno a casa felice ma un po’ rassegnato. Essere tifosi del Bari vuol dire anche questo. Come quando da bambino, per le feste di Natale, non vedi l’ora che arrivi il gran giorno e poi, il 25 dicembre, sei felice al massimo fino alle dieci del mattino, quando ti ritrovi in camera tua sommerso di confezioni regalo scartate che ti sei goduto per una mezz’oretta e tutto d’un tratto vieni avvolto da un velo di tristezza che a dieci anni, e con una famiglia ancora unita e felice, non ti sai spiegare. Non capisci perché, un secondo dopo essere stato così felice, tu possa essere così triste. La fregatura è che con il tempo impari a farlo e quel senso di vuoto impari a conoscerlo e infine anche a prevederlo. E il giorno in cui riesci a prevedere le tempeste non riesci più a goderti nemmeno la quiete (tratto da Domani no, romanzo in uscita a Gennaio, edizione Gelsorosso)

* trad: “E questi sarebbero i campioni di cui tanto si parla? E il Bari che cos’è? Signori miei, il Bari è forte!”

Prossima puntata: Bari – Juventus, 23 febbraio 1992 

Barreto mostra la maglia di Ranocchia

Per caso un corno (trasformare le passioni in lavoro ha un prezzo)

21 Nov
Dirò Personal Branding una volta sola in questo post. Quindi il mio bonus me lo sono già giocato. Preferirei parlare in maniera più semplice, diretta, chiara se possibile. Nel mezzo di una delle settimane più importanti della mia vita professionale mi fermo un attimo a riflettere. Spesso la riflessione coincide con la scrittura nel mio caso. Una squadra si serie A che non è quella della mia città (anche perchè il Bari gioca in B) ha pubblicato una mia storia. Ne scriverò altre. Un’agenzia di viaggi mi chiede di partire per loro. Un ristorante di mangiare e raccontare loro le mie impressioni. Cosa hanno in comune queste tre realtà? Una squadra di calcio, un’agenzia di viaggi e un ristorante? Ve lo dico subito: il calcio, i viaggi e il cibo sono le mie tre passioni. La quarta è la scrittura. Ed è scrivendo con costanza (ed esercitando uno stile) che mi sono guadagnato le attenzioni di chi oggi mi paga per fare ciò che mi piace. E mi sembra anche giusto. Perchè se ti eserciti per fare una cosa al meglio e credi in un obiettivo fai di tutto per realizzarlo. Ho cento libri nell’ebook reader (o come diceva più romanticamente Gianni Togni ho mille libri nel cassetto) e ogni sera mi aggiorno, mi informo, prendo appunti. Quando rivedo le mie presentazioni e i miei post non sono mai soddisfatto, perchè so che lavorando su me stesso posso fare meglio. Ecco perchè credo che le cose non accadano per caso. Quando un paio di anni fa scrivevo su un blog sconosciuto che si chiamava boavida in molti storcevano il naso. Devi andare a lavorare mi dicevano. Avevano ragione, peccato che una multinazionale (a cui devo moltissimo e sono serio) mi aveva gentilmente pregato di andare a casa dopo 12 mesi di stage (esperienza che rifarei mille volte, anche gratis). Qualcosa dovevo pur inventarmi. Mi sono messo a fare quello che mi riusciva meglio: scrivere. D’altronde ha ragione Sebastiano Zanolli quando dice: “Non cercate un lavoro, cercate di risolvere un problema“. Molti non hanno tempo per scrivere o semplicemente non si sentono a proprio agio quando lo fanno. Perchè allora non risolvere questo problema alla gente? E se posso anche divertirmi che male c’è? E così quest’estate sono stato a San Francisco e tra una lezione di inglese e l’altra ho raccontato il mio viaggio. Credo di averlo fatto abbastanza bene, tant’è che a qualcuno viene in mente questa idea “Ma se ti mando un’altra volta in America, me la racconti?” Of course. Il mio amore per il Bari mi ha portato a scrivere 60 (di 100) puntate di U Bàr iè fort. E così qualche mese più tardi un’associazione di nome Etwoo mi dice “abbiamo tantissimi cimeli sportivi da raccontare, te ne occupi tu?” Ma certo. E domenica sera ho fatto il mio esordio nel derby della Lanterna. Li ho contati quelli che hanno detto ma dove va questo Etwoo? Chi li compra questi oggetti? Ecco la migliore risposta. E a furia di fotografare pietanze con Instagram ci sta che un ristorante (facciamo due, tre) mi convochi per testare la sua cucina. Ora non fate quelli che pensano “che bella vita” che poi mi portate sfiga anche perchè, tanto per darvi due numeri, vi dico che un buon 70% delle cose che faccio rientra nella categoria investimenti. Lascio a voi la traduzione di questa parola. Il succo del discorso è che ci sono tante opportunità ma bisogna saperle sfruttare. Ed è più semplice farlo se non ci si limita ad eseguire il compitino e si cerca di fare qualcosa che davvero appassiona, che non ha orari, che ci tiene impegnati il sabato e la domenica e durante le ferie. A volte mi sento stronzo a trasmettere ottimismo in un periodo come questo. Non me ne vogliate per questo.
Bibliografia essenziale per scrivere questo post:

Il mestiere di scrivere – Luisa Carrada

100 things every presenter needs – Susan Weinschenk

Instant MBA – 52 Brilliant Ideas

The 4 Hours Workweek – Timothy Ferriss

Guadagnare un’ora al giorno – Michael Happell

Dovresti tornare a guidare il camion Elvis – Sebastiano Zanolli

Scrivere 2.0 – Luca Lorenzetti

Lavoro e carriera con Linkedin – Luca Conti