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72) Bari – Lanciano, 13 aprile 2013 – U Bàr iè fort (?)

5 Lug

Cosa c’è di più complicato che emozionarsi in un campionato mediocre? Sette punti di penalizzazione, una rincorsa continua, una scalata senza meta. Tanto ai play off non ci arrivi e se ci arrivi ti mangiano, perché quelli che stanno lassù sono più attrezzati e non vivono alla giornata come noi. Torrente lo sa e costruisce il suo gruppo motivandolo partita dopo partita, annullando subito la penalizzazione. Ma nel calcio i “meno” non te li togli mai dalla testa (e dalla classifica). Fai sempre quei maledetti calcoli, con sette punti in più saremmo al quinto posto, e non ti rendi conto che arriva un momento che quel debito inizia a pesare sulla tua testa.

Arriva tra marzo e aprile quel momento. Il Bari, che fino a quel punto ha vissuto dell’entusiasmo dei giovani, di simpatia, di corse sul lungomare e panini a Pane e Pomodoro, Gangam Style e facce pulite come quelle di Sciaudone, Lamanna e Rossi, si ritrova immischiato nella lotta per non retrocedere. Dopo Reggio Calabria (partita persa per 1 a 0) cominciano le paure. Torrente ha perso la squadra dalle mani, si dice. Ma la Società (o chi per lei) non lo mette in discussione. Si va avanti con lui. E sinceramente, mai mossa fu più azzeccata (devo ancora capire cosa ci fa, oggi, Torrente in Lega Pro).

Il 13 aprile arriva a Bari il Lanciano di Gautieri. Uno che quando correva sulla fascia del San Nicola, a metà degli anni ’90, ricordava il Nino della canzone di De Gregori. Il pallone, stregato, gli rimaneva davvero attaccato al piede. Nonostante sembrasse farraginoso, sgraziato, un po’ curvo sulla schiena. Una volta fece girare la testa a Maldini e Costacurta e mise alle spalle di Rossi il pallone della vittoria contro il Milan. Batteva i rigori (ma a volte li sbagliava) e diceva sempre che se non avesse fatto il calciatore avrebbe fatto il benzinaio. Durante l’era Materazzi fece anche il secondo portiere, sedendo in panchina con il numero 12.

Gautieri allena bene, ha costruito un mezzo miracolo in Abruzzo, dove una presidentessa bella (molto) e ambiziosa ha portato per la prima volta il Lanciano in serie B. Un giorno, si dice, allenerà il Bari, ma quel giorno è lontano, dopo che sei in vantaggio per 3 a 0 nello stadio che è stato il tuo. Accade dopo un primo strano, nel quale il Bari gioca anche piuttosto bene, colpisce un palo, spreca due occasioni incredibili con Caputo e Ghezzal e subisce. Non uno, ma tre gol. Io sono lontano. Molto lontano. A Bologna per la precisione. Mi collego a Twitter di tanto in tanto e leggo che siamo sotto di tre gol, grazie agli aggiornamenti preziosi di Marco Beltrami. Non si può perdere, davvero non si può.

Significherebbe la fine. Provo a pensare positivo, basterebbe un gol per riaprirla, mi collego con Salomone (come se fosse un’emittente, un’entità astratta ma sempre presente nelle nostre vite di tifosi), il tempo di apprendere che Sciaudone fa partire un tiro da fuori area e riapre la gara (per modo di dire). Un tiro preciso e angolato, dice Michele. La sua voce sembra leggermente rinfrancata. E spesso il tono della sua voce ha il potere di farti sentire ancora in corsa. Resto aggrappato a lui, ci credo, ci credo davvero ma più per una sorta di istinto di sopravvivenza. Se perdiamo siamo spacciati. Defendi avanza, mette un pallone al centro sul quale si avventa Caputo. Gol! Due a Tre, li prendiamo.

Devo momentaneamente staccare il cellulare, due minuti, mica tanto. Il tempo dei saluti. Ci vediamo presto. Mi infilo la giacca vado a prendere l’ascensore. Il tempo di dare uno sguardo a Facebook e leggo che il Bari è addirittura passato in vantaggio. Quattro a tre. E fa niente se mi sono perso la radiocronaca. La recupererò a casa. Ho già deciso che farò uno Storify su questa storia. Apprendo che il terzo gol è stato segnato da Defendi. Poi ci pensa Tallo, questo sconosciuto, a portare in vantaggio il Bari. E immagino le urla di Michele Salomone, il suo “non ci credo, non è mai successo prima“. Spengo tutto, non può succedere più nulla, non deve succedere più nulla. Tutto ciò che devo fare e tornare a casa per rivedere i gol, chiudere gli occhi, e immaginare di essere al San Nicola nel momento del boato. Nel momento in cui Tallo rovescia una partita decisiva in un campionato inutile. Ma tant’è. Il calcio è meraviglioso anche per questo. Perché sa regalarti emozioni indelebili fini a se stesse. Anche se non ti stai giocando la serie A. Anche in un campionato che non passerà alla storia.

Il gol di Martino Defendi

Il gol di Martino Defendi

66) Chievo – Bari, 18 ottobre 2009 – U Bàr iè fòrt (?)

15 Mar

Il bello del pallone è che a volte bastano 30 secondi a farti ricordare una partita per tutta la vita. Anche se questa partita non è la finale dei mondiali, o di Champions League. Trenta secondi vissuti, intensi, lunghissimi, che restano nella tua mente per sempre. Per questo il calcio è bellissimo anche senza tiqui taca. Perchè un batti e ribatti senza senso, in area di rigore, con giocatori che diventano muri umani e un pallone che rimbalza malissimo su un terreno infido, è spesso la vera essenza di questo sport. Di questa partita contro il Chievo conservo gli umori, il gusto, le voci, il batticuore. Le mani davanti agli occhi in quei minuti recupero, come in un film di paura. Le dita che stringono nervosamente la fodera del divano, ci si aggrappano, come ad una speranza. Respingi sto cazzo di pallone, respingilo. Quei diavoli in maglia gialla, assatanati e duri a morire, che non mollano mai.

Il Bari ha iniziato bene la sua nuova avventura in serie A. La squadra di Conte, diventata nel frattempo di Ventura, si conosce e non sembra soffrire troppo il cambio della guida tecnica. L’inizio è folgorante e il pareggio di San Siro contro la squadra che vincerà tutto lascia presagire un annata di soddisfazioni. Ma alla quinta giornata arriva la prima sconfitta in casa, contro il Cagliari. Un incidente di percorso e comunque un monito: non sarà una passeggiata. I ragazzi (all’epoca siamo lontani da pensieri atroci su scommesse e marciumi vari) reagiscono e una settimana dopo vanno a cogliere un punto importantissimo, di nuovo a San Siro, contro il Milan di Leonardo, quello che oggi ha chiesto la mano in diretta televisiva alla sua compagna, Anna Billiò. Punto fondamentale non tanto per la classifica, quando per il morale. Il Bari domina, spaventa, attacca, si rammarica per non aver vinto. Ma stupisce l’Italia, come spesso accadrà in quella stagione. Dopo uno scialbo pareggio casalingo contro il Catania, arriva la trasferta di Verona. Una trasferta difficile rispetto alle precedenti: si gioca sul campo di una diretta concorrente per la salvezza. Non c’è più da stupire, sono finite le gare di rodaggio, quelle in cui non c’è niente da perdere, è arrivata la partita che ci dirà chi siamo. Per la cronaca, è il 18 ottobre del 2009.

Ventura conferma Ranocchia e Bonucci al centro della difesa, nonostante qualcuno si ostini a chiedere l’arrivo di un difensore di esperienza al posto del secondo. Chi lo definisce distratto, chi falloso, chi disordinato. Ma Ventura non sente ragioni. Nonostante l’esperienza di Pisa (squadra retrocessa in C a fine stagione, con Giordano in panchina) ha pronosticato per Bonucci un futuro da campione. Deve solo applicarsi e ascoltarlo. Sfruttare la sua abilità nel rovesciare l’azione e avere fiducia nei propri mezzi. Fiducia che presto Leonardo conquista, e non abbandona più. Il Chievo, che viene da una preziosa vittoria a Cagliari, è squadra scomoda, sgorbutica, guidata da un allenatore che inculca alla sua squadra la stessa mentalità che aveva da giocatore: correre, correre, correre. Non tutti sanno che, in un intervista alla Gazzetta dello Sport, nientepopodimenoché Zinedine Zidane dichiarò che l’avversario che l’aveva messo maggiormente in difficoltà, durante la carriera, era stato proprio Mimmo Di Carlo. Correva come un matto, non mi faceva respirare, non toccai un pallone. Parlava di una partita della Juventus a Vicenza, nella sua prima stagione italiana.

La sua squadra va ad una velocità pazzesca, fa pressing e può contare su dei giganti capaci di fiondarsi senza paura su tutte le palle che gravitano in in cielo: Pellisier, Granoche, Bogdani, Yepes, sono brutti clienti per i colpitori di testa del Bari, che però non sono da meno. E lo dimostrano subito. Punizione tagliata di Sasà Masiello, altra (ri)scoperta di Mister Libidine, e colpo di testa astuto di Almiron che spedisce la palla nel sette, alle spalle di Sorrentino. Il suo colpo di testa è più preciso che potente, si inarca per poi abbassarsi e infilarsi nell’unico spazio consentito. Il Bari è in vantaggio e l’argentino esulta. Io pure, dal divano di casa. Non mi illudo, ma mi rassereno. Non abbiamo paura di nessuno. Il Chievo prova a rispondere subito, e ci riesce con Luciano che si mangia un gol incredibile, praticamente a porta vuota. Gillet da sicurezza, non sa ancora che finale di partita lo aspetta. Il Bari non sta a guardare, Barreto danza sull’erba del Bentegodi, Meggiorini, in tuffo, mette alla prova i riflessi di Sorrentino. Il secondo tempo inizia con un altro miracolo di Gillet, stavolta su Pellissier. Ma al 20′ il Bari legittima la sua intraprendenza. Bello il lavoro di Kutuzov, entrato al posto di Barreto, sulla fascia sinistra. Doppio passo e via sul fondo. Cross delicato per la testa di Andrea Ranocchia che svetta ancora più in alto di tutti, e fa conoscere il suo nome e le sue doti di calciatore a tutta la serie A. Lob di testa morbido morbido sul secondo palo. Sorrentino resta ferma e io posso scatenare la mia esultanza.

U Bar iè fort, penso. Zero a due, e primi tre punti in trasferta. Senza neanche soffrire magari. Magari. Poi succede che dieci minuti più tardi Yepes mette in mezzo un pallone perfido sul quale si avventa Bogdani, vecchio filobustiere dell’area di rigore (cit), che insacca. C’è sempre un Bogdani pronto a punirti, e a metterti con le spalle al muro, in ogni partita. Dovevo sospettarlo. Puoi giocare con la Reggina, col Chievo, col Cesena, col Brescia, col Siena o con il Vicenza, ma Bogdani e lì, pronto a rimettere tutto in discussione. Non sai mai da dove sbuca un attaccante che cambia di media due squadre all’anno. La partita si riapre, la mia pennichella pomeridiana, che lo 0 a 2 stava consentendo, svanisce tutta d’un tratto. Così come il segnale di Sky, all’improvviso. Cerco Salomone in streaming radio, mi fido solo di lui. Se devo soffrire, preferisco farlo con la voce di mille battaglie. Mi pento subito. Il Chievo attacca a spron battuto, io mi illudo che la parola “pericolo” stia a a significare che i padroni di casa hanno superato il centrocampo. Con Michele, spesso è così. Sento varie imprecazioni per Alvarez e una bella grossa per Meggiorini, reo di essersi mangiato, sempre di testa, un gol a porta spalancata. Un gol facile facile, dice lui.

L’arbitro concede quattro minuti di recupero. Un’eternità per una radiocronaca di Michele Salomone. Poi succede l’incredibile. Se sono qui a raccontare questa partita, lo devo a Michele e a quella incredibile mischia. Il segnale va e viene. Sento solo Noooo Bentivoglio, anzi siii, attenzione, c’è una mischia incredibile, non posso descrivervi nulla, non posso descrivervi nulla, usciamo, anzi no – e vorrei spegnere la radio e lasciar perdere perché non si può soffrire così per una partita – il pallone sulla linea, Gillet miracolo, Gillet miracolo ancora, non so dirvi chi, aiuto, il pallone portato fuori con l’anima. Eccola, la prodezza balistica di Michele Salomone. In un momento di enfasi incredibile, di confusione totale, ha trovato la poesia: quel pallone portato fuori con l’anima è l’immagine romantica di una difesa che vuole a tutti i costi portare a casa questi tre punti e si immola per farlo. Alla fine sento una parola magica, ripetuta tre volte: fuorigioco, fuorigioco, fuorigioco. Respiriamo. Ma non è finita. I gialloblu attaccano ancora, Sono duri a morire questi giocatori del Chievo! Buttano ancora il pallone avanti, ma quando finiscono questi quattro minuti? Langella fa ripartire l’azione del Bari. Alvarez è solo, e si mangia un altro gol. Ma non fa niente. Non ce ne frega niente del calcio d’angolo. L’arbitro fischia la fine. Il Bari vince la sua prima partita in trasferta e vola ad 11 punti. Spengo la radio e vado davanti allo specchio a condividere la felicità con me stesso. Ho le orecchie arrossate e la faccia un po’ tesa. Mannaggia a Salomone, mannaggia al Bari.

Prossima partita, Bari – Padova 5 giugno 1994 

Gillet, chiude la porta agli attaccanti del Chievo.

Gillet, chiude la porta agli attaccanti del Chievo.