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La verità, vi prego, sul pallone #14

10 Dic

La notizia è che nella domenica in cui le grandi vincono tutte tranne una, il Napoli, quella che sta davanti, la Juve, aumenta il suo distacco dalla sua più immediata inseguitrice. Nella sfida tra seconde, o presunte tali, vince l’Inter. Il Napoli arriva a questa partita in maniera piuttosto indolente. E non è la prima volta. Ne avevamo parlato dopo la sconfitta di Torino e dopo il pareggio interno contro il Milan. Nel momento decisivo la squadra di Mazzarri si perde. Peccato. L’Inter a questo punto non può nascondersi. Ha battuto le prime due del campionato, ha trovato un Guarin formato grande squadra (a me piace molto anche quando tutti dicono che è lui la causa delle sconfitte) e soprattutto ha ritrovato Cassano. Con Fantantonio l’Inter è un’altra squadra. Che piaccia o no sono sue le invenzioni che spaccano la partita, che la mettono sul binario preferito di Stramaccioni. Dopo basta mettersi in ordine là dietro, con una buona difesa e tre mediani a coprirli. Certo si soffre, e l’Inter ha sofferto, ma alla fine sono tre punti che pesano tantissimo. In una domenica in cui, come già detto, rimettono il naso fuori tutte le grandi squadre. Il Milan prima di tutto. Non fosse stato per quell’inizio disastroso adesso staremmo parlando di altro. Allegri sembra aver rimesso a posto le cose. Capigliature (inguardabili) a parte il Milan è tornato ad essere una squadra di tutto rispetto. Bravo l’allenatore a non scomporsi, o peggio ancora deprimersi, e a tornare al vecchio modulo con un Nocerino troppo prezioso per essere accantonato come un De Rossi qualunque (mi sia concessa la battuta). Gongola Silvio Berlusconi che ormai è tornato alle vecchie abitudini. La discesa in campo, via elicottero, a Milanello, il venerdì pomeriggio è qualcosa di più di un gesto simbolico di un buon padre (o nonno) di famiglia. Questo Milan giovane, che taglia ingaggi pesanti, che predica l’austerity annunciando che Balotelli non è un acquisto sostenibile sarà, sono pronto a scommettere, lo spot elettorale del 2013. Ben diverso da quello di quasi 20 anni fa, quando per conquistare gli italiani la metafora sportiva preferita era quella del magnate che spende e spande acqustando campioni da ogni parte del mondo. I tempi cambiano. Ma i campioni restanto. Ne è la prova Totti, immenso nella bellissima partita tra Roma e Fiorentina, un piacevole spot per il calcio italiano. Un giocatore in formato Mondiale. Semplicemente superbo, illuminante, decisivo. La Roma sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Si parla molto dell’assenza di De Rossi e poco di Bradley. Anzi, non ne parla nessuno. Ma l’americano, negli schemi di Zeman, si è ritagliato un ruolo prezioso ed è lui, a mio parere a dare equlibrio (e quindi svolgere un ruolo delicatissimo) ad una squadra che tende a farsi prendere dal piacere leggittimo della giocata. La copertina quindi è sua. Ancche se nella vittoria della Roma ha un peso decisivo anche Viviano, portiere della Fiorentina. Tifosissimo della squadra in cui gioca, tanto da chiamare sua figlia Viola, rischia di trasformare il suo sogno in un incubo. A Firenze tifosi e stampa non sono leggeri con lui. Sabato mette lo zampino sul primo e sul terzo gol. E adesso gli errori iniziano ad essere troppi anche per un tifoso. Nemo profeta in patria. A Palermo torna in scena Antonio Conte. Scatenato come suo solito, danza e accompagna la squadra che si mangia l’impossibile rischiando di tornare dalla Sicila con un solo punto fino a quando, puntuale ma mai scontata, arriva la rete decisiva. La firma Liechsteiner, e non è un caso. Quando gli attaccanti sbagliano tutto alla Juve ci pensa spesso un esterno a timbrare il cartellino. Bentornato al Mister, comunque. Durante questi mesi in ghiacciaia ci ha fatto davvero tenerezza. La sua forza è stata quella di non far pesare minimamente la sua assenza. La classifica di serie A e la vittoria del girone in Champions League, in un gruppo tutt’altro che agevole, parlano chiaro. Al di là delle grandi segnalo una nuova sconfitta del Genoa (Del Neri al capolinea?), un altro gol di Paloschi e una nuova vittoria del Chievo in trasferta. Corini ha rivitalizzato una squadra che sembrava spenta, demotivata. E invece sarà ancora una volta un avversario molto ostico che probabilmente anche stavolta si salverà. Chiudiamo con una finestra sul calcio inglese. Oggi si è giocato il derby di Manchester. Spettacolare, con lo United in vantaggio per 2 a 0, poi ripreso dal City a 4 minuti dalla fine. Ci pensa Van Persie, al novantaduesimo, a colorare di rosso il cielo di Manchester. Una sconfitta che probabilmente peserà sul destino di Mancini che a dicembre è già fuori da un’Europa che doveva dominare. Mourinho è alla finestra. A fine stagione potrebbe lasciare il Real per abbracciare uno sceicco. Parigi o Manchester le destinazioni. E comunque vada non se la passerà male, il buon Josè.

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La verità, vi prego, sul pallone #13

3 Dic

Una squadra è grande quando sa mettersi alle spalle prestazioni negative e sconfitte. Una squadra è matura quando è continua e sa di esserlo. Ecco la differenza tra questa Juventus e le altre. Due partite perse, le più antipatiche, quelle che nessun tifoso vorrebbe perdere, e nessuna conseguenza sulla classifica e sul morale. Anzi. Ne fa le spese stavolta il malcapitato Torino che si mette l’abito ormai sdrucito del derby e viene letteralmente demolito, nonostante i buoni propositi di Ventura. A tal proposito, quello della Mole è un derby che ha ormai perso il fascino di una volta. La statistica dice che in qualunque piazza vincitori e vinti si sono sempre alternati, chi più chi meno, nonostante i disequilibri economici e sportivi. Anche negli anni dello straripante Manchester United lo sfigatissimo City (prima dell’avvento degli sceicchi) portava a casa qualche vittoria. E lo stesso accadeva a Liverpool con l’Everton, a Madrid con l’Atletico e persino a Barcelona con l’Espanyol. A Roma, Milano e Genova non esiste un favorito, a Torino sì: lo dicono i numeri. Inquietante quello relativo all’ultima vittoria del Toro. Era il 25 gennaio del 1995. Una doppietta di Rizzitelli e una rete di Angloma a 4 minuti dalla fine regalarono la stracittadina ai granata. Sono passati quasi 18 anni, un’eternità. A memoria credo che in nessuna città d’Europa accada qualcosa del genere. Sulla partita (l’ultima in campionato con Conte chiuso nella ghiacciaia) c’è poco da dire. Una pratica sbrigata facilmente grazie ad una prova maestosa di quel grandissimo giocatore che è diventato, o forse è sempre stato, Marchisio. Adesso la Juve si prepara alla trasferta di Donestk dove basterà un pareggio per andare avanti in Champions. Ci sperano tutti, comprese le inseguitrici. In fondo i due stop bianconeri sono arrivati a cavallo tra gli impegni europei e Napoli e Inter non hanno la Champions. I partenopei distruggono il Pescara (ora sì che la situazione degli abruzzesi è delicata) e si preparano ad un’importantissimo esame di maturita domenica a San Siro contro l’Inter. La mia impressiona è che al Napoli manchi solo un po’ di convinzione e qualche lampo di imprevedibilità, soprattutto nelle partite difficili da sbloccare. Ma quella la dava Lavezzi che non c’è più. A proposito di derby, un’annotazione va fatta. Napoli è l’unica grandissima città Europea che ha una sola squadra. Questo vuol dire che tutta la città, tutto il bacino di tifosi, è dalla sua parte. E allora se c’è una società solida, un allenatore bravo (peccato per quella confessione sull’anno sabbatico), un centravanti eccezionale e una tifoseria inimitabile perchè dovrebbe essere vietato sognare? Ce lo dirà appunto lo scontro con l’Inter. Da bene bene a male male (finora aveva alternato belle prestazioni ad altre sciagurate) l’Inter di oggi è stata una squadra da benino. Un golletto su autogol (sembra quasi uno schema, dopo quella del Cagliari) e tre punti che le consentono di restare aggrappata al treno. La partita non è stata indimenticabile e c’è da dire che Cassano si vede soprattutto quando manca. L’Inter vince la partita quando escono Zanetti, Milito e Cambiasso, tre mostri sacri. Coraggiosa la scelta di Stramaccioni, ripagata più dalla fortuna che dalla sagacia. Ma a livello psicologico mi è sembrata la mossa giusta. La Lazio merita una citazione particolare. Per solidità e concretezza la vedo meglio della Fiorentina che la precede. I viola sono più spettacolari ma i biancocelesti hanno Klose che segna con una regolarità impressionante e tiene in apprensione le difese avversarie per novanta minuti. Credo che sia uno dei 5 giocatori di questo campionato in grado di fare davvero la differenza. A voi indovinare chi sono gli altri. La Roma avanza, terza vittoria di fila e squadra che iniza ad avera una propria identità. Zeman, al secondo gol, si lascia andare persino ad una timida esultanza, e sono notizie. Esulta anche Destro, finalmente un ex che non si fa scrupoli. E questo ragazzo, ancora giovanissimo, inizia a lanciare segnali importanti al calcio italiano. Non è l’unico. El Shaarawi in questo momento è uno dei giovani attaccanti più promettenti d’Europa. Il Milan se lo goda. Questo non è e non sarà un campionato indimenticabile ma il piccolo faraone sarà il crack del futuro. E se davvero dovesse arrivare Balotelli a gennaio si potrebbero mettere le basi per una rinascita made in italy. La new italy, quella multiculturale, multirazziale e talentuosa. Come quei due. Talentuosa come un altro ragazzo al quale dedico la mia copertina. Si chiama Alberto Paloschi ed è l’attaccante del Chievo di Corini che sotterra il suo maestro Del Neri. Alberto ha già tanti infortuni alle spalle. Al Milan dicevano che era il nuovo Inzaghi, poi si è un po’ perso o semplicemente sono cambiate le mode. L’ultima era quella dell’attaccante muscolare, che si mette al servizio della squadra e fa reparto da solo. Paloschi ha però una dote che nel calcio fa ancora la differenza. Fa gol. E vede la porta come pochi. Tre solo oggi e pallone a casa. Ha solo 22 anni e tanti gol ancora davanti. A livello di nazionale, con queste premesse, siamo messi bene. La stoffa c’è. Adesso bisogna essere bravi a tesserla.

alberto paloschi

alberto paloschi

La verità vi prego sul pallone #9

4 Nov

Mamma, che ne dici di un romantico a Milano? In effetti non è niente male questo ragazzo del 1976, laureato in legge e predestinato ad un futuro da grande allenatore. Al netto delle polemiche arbitrali (parleremo solo di calcio) la copertina è tutta sua. E sì, perchè Andrea Stramaccioni è l’uomo che con la sua Inter ha interrotto l’incredibile serie positiva della Juve nel suo nuovo stadio. Coraggio, intraprendenza e spregiudicatezza sono alla base del suo credo. No, la spensieratezza no. Non dite spensierato ad uno che ha resistito alla tentazione di fare tabula rasa ripartendo da Zanetti e Cambiasso (i più criticati l’anno scorso) e liberando Milito dall’ombra di Pazzini affidandogli in toto le chiavi dell’attacco nerazzurro. Scelta ribadita dopo la tripletta di Pazzini al Bologna, quando Strama disse “Ho puntato tutto su Diego Milito e sono convinto della mia scelta“. Parlategli adesso di un vice. Il problema è di chi non ce l’ha, un Milito. Proprio sul gruppo storico, sulla stirpe aurea nerazzurra, che Stramaccioni ha puntato anche prima della partita con la Juve. “Loro hanno vinto tutto, più dei giocatori della Juve. Sanno benissimo cosa fare“. E così il giovane allenatore si presenta a Torino con 3 punte, va sotto, ma non si lascia andare alle tipiche crisi di panico nerazzurre. Nessun sospetto di complotto, niente manette e quella incredibile tranquillità trasmessa ai giocatori. Giocare signori, giocare. Neanche Gigi Simoni, con il suo proverbiale aplomb, c’era riuscito. E la sua squadra, giocando, ha ribaltato il risultato. Indovinate con chi? Con Milito. E non solo. Curioso che si parli così tanto del tridente quando l’Inter ha segnato il gol del vantaggio mentre in campo c’erano due punte (era uscito Cassano, stavolta inconsistente) e lo ha leggittimato quando ce n’era una sola (era uscito Milito). Non sempre nel calcio fa più gol chi ha più attaccanti. Tanto più se si chiamano Giovinco e Bentder. Onestamente la squadra campione d’Italia merita di meglio. Curioso anche che tifosi e giornalisti esaltino ora il 3-4-3 di Stramaccioni quando per lo stesso motivo Gasperini, circa un anno fa, rischiò la crocifissione. A lui fu imposto Sneijder (che succede quando torna?), non fu comprato Palacio e, al posto dell’incredibile argentino, arrivò la punta più indisciplianta del mondo: Mauro Zarate. Ma l’idea, se proprio lo volete sapere, era la stessa. Peccato che il Gasp, oggi a Palermo (ancora per molto?) mancò di elasticità e forse di un pizzico di umiltà. Quella che ha permesso a quel romantico di Stramaccioni di conquistare i cuori nerazzurri. La domenica calcistica dice poco altro. Conferma che il Napoli rischia di perdere un altro anno. Non solo per l’errore di Aronica, un fedelissimo di Mazzarri. L’autogol più clamoroso, a mio parere, lo fa lo stesso Mister ad annunciare il suo prossimo anno sabbatico con 9 mesi di anticipo. Il Toro ringrazia e pareggia. Non se la passa benissimo neanche Ferrara. Come avevo detto quando le cose alla sua Samp andavano benone, non è la prima volta che le sue squadre partono a razzo e proseguono a cazzo. Urge una riflessione. Si cappotta la Lazio a Catania (bravo Maran!), risorge la Roma che conquista la leadership dei gol segnati. Almeno Zeman resta coerente con se stesso. Vola invece la Fiorentina dell’areoplanino Montella che si candida al ruolo di sorpresa del campionato. A qualcuno, a Roma, staranno fischiando le orecchie. Montella e Stramaccioni allenavano i giovanissimi e gli allievi giallorossi. Qualcuno li ha lasciati andare via con troppa leggerezza per inseguire allenatori esotici che parlavano di progetti come fossero architetti. E adesso pare che andrà via da Roma anche Bruno Conti, uno che ha scoperto e lanciato alcuni dei giovani più interessanti del calcio italiano. In settimana tornano le coppe. Urge vincere. La Juve ha la grossa occasione di riprendere la sua marcia (a proposito, bellissimo l’applauso dello Juventus Stadium dopo la prima sconfitta), il Milan deve battere il Malaga per dare continuità ai 5 gol segnati al Chievo. Non siamo al dentro o fuori, ma quasi. Chiudo con un pensiero per Stroppa, tecnico del Pescara. La sua squadra batte il Parma e si porta a 11 punti. Un piccolo miracolo. Eppure lui è in dubbio e rischia seriamente l’esonero. Cos’altro dovrebbe fare Giovannino? Travestirsi da Zeman? E soprattutto, mamma che ne pensi di un romantico a Pescara?

La verità, vi prego, sul pallone #4

30 Set

Qualcuno dica a Cassano di non rovinare tutto. No, stavolta no, non glielo perdonerebbe nessuno. Antonio sorride, gioca diverte e si diverte. Mette le dita nel naso di Nagatomo ma nel frattempo inventa assist e segna come non ha mai segnato. ‎”Volevo ringraziare i miei colleghi che mi mettono a proprio agio”, ha detto. L’italiano non è mai stato il suo forte, ma non è questo il punto. L’impatto di Cassano su questa Inter è stato devastante, ciò che preoccupa è la lunga gittata. Se rimane sul pezzo ne vedremo delle belle. Intanto l’Inter dimostra di esserci (no Sneijder, no problem?), si rimette in corsa e aspetta con ansia il derby di domenica.  Certo è che il Milan non può permettersi altri passi falsi e perdere significherebbe trovarsi già a più di dieci punti dalla Juventus. Una squadra roboante, siderale e… ho finito gli aggettivi. La partita di sabato contro la Roma è stata una mattanza. Poteva finire 15 a 1 e non ci sarebbe stato nulla da dire. Non solo non c’è stata la vendetta di Zeman, su cui molti puntavano, ma è arrivata una vera e propria umiliazione, senza mezzi termini. Buchi ovunque, autostrade spianate per gli avversari e soprattutto la totale evanescenza dei campioni. Il rischio è che le idee di Zeman oscurino giocatori come Totti e De Rossi. Sono loro la preoccupazione più grande, e il boemo lo sa. Se loro non ci credono, il progetto salta. Garantito. Di certo la Roma non è il Pescara sebbene i biancoazzurri, l’anno scorso avessero perso 3 partite nelle prime 6 giornate. Sappiamo tutti come è andata a finire. Da capire se a Roma avranno la stessa pazienza. Di pazienza ne hanno avuta molta a Napoli. Nel corso degli anni hanno costruito un progetto solido, concreto e adesso si ritrovano in testa alla classifica. Ora o mai più, secondo me il Napoli ha tutto per vincere questo scudetto, magari approfittando del fatto che la Juve ha la Champions. Per di più i partenopei possono contare su uno dei pochi veri grandi topp pleier (come ci piace questa parola) rimasti in Italia: Edinson Cavani. Il secondo numero 9 più forte del mondo, a mio parere, dopo Falcao. Provate a contraddirmi. A proposito di campioni: in Abruzzo gioca un certo Weiss, e non è una birra, cara Adele. Segnatevi questo nome. Farà parlare di se. Qualcuno aveva dato il Pescara per retrocesso dopo due giornate. Oggi ha 7 punti e avverte che non c’è nulla di scontato. Meno male che scripta manent: l’avevo detto. E se mi permettete vorrei spendere due parole per un altro fuoriclasse: Fabrizio Miccoli. Il Palermo cambia 3 allenatori all’anno ma poi è sempre il Romario del Salento a togliere le castagne dal fuoco. Da cineteca il terzo gol. Sicuramente il più bello della giornata, serio candidato a diventare il più bello del campionato. Fa bei gol anche Gilardino, finalmente tornato ai suoi livelli dopo i gossip, le foto di Corona e qualche annata disastrosa. Ci voleva Bologna e la maglia che fu di Baggio e Signori, altri due campioni rinati sotto le due torri. In fondo Gila ha solo 30 anni. Hai voglia a fare gol ancora. Chiudo questo post mentre apprendo che a Cagliari è saltata la panchina di Ficcadenti e che stasera non dormirà sonni tranquilli neanche Di Carlo, a Verona. Non male per essere solo alla sesta giornata. Poi parlano di progetti.

49) Sampdoria – Bari, 1 novembre 2009 – U Bàr iè fort (?)

23 Lug

Qualcuno lo chiama gemellaggio, qualcun’altro semplicemente amicizia. La verità è che quel numero 99 la maglia del Bari di dosso non se la toglierà mai. A Genova tanta classe nei piedi di un solo giocatore non si vedeva dai tempi di Roberto Mancini, e questo i tifosi della Sampdoria lo sanno. A noi va bene così. In fondo è passato del tempo da quando Tonino ha lasciato Bari Vecchia. E poi abbiamo uno squadrone. Ventura ha preso le redini della squadra che aveva dominato il campionato di serie B con Antonio Conte alla guida. Ha ben assemblato i nuovi: Bonucci, Donati, Almironi e Meggiorni. Risultato: una squadra che impone il proprio gioco in casa e fuori, un giocattolo perfetto che fa punti ed entusiasma. Non per niente siamo all’unidicesima giornata e in trasferta si è perso solo una volta, tre giorni prima a Parma, in un turno infrasettimanale. Ventura dice che la squadra non è pronta a giocare tre volte in una settimana e poi a Parma proprio non si riesce mai a vincere. In compenso il Bari ha vinto a Verona contro il Chievo e soprattutto ha pareggiato due volte a Milano. Contro l’Inter rischiando il colpaccio al novantesimo con Rivas. Contro il Milan giocando una delle più belle partite che io ricordi, in poche parole dominando. Sono quasi 6000 i baresi che raggiungono Genova per la sfida alla Samp di Del Neri. E’ il 1 novembre del 2009. Il biancorosso è dappertutto. In gradinata nord ma anche in tribuna e sovente si alza il coro “Antonio Cassano ee oo” che in pochi secondi coinvolge l’intero stadio. Prima della partita il grande protagonista viene a prendersi il suo applauso sotto la curva. Eccola casa sua. Forse in un altro posto, una città che può proteggerlo meglio di quella in cui è nato. Una città dove il mare ha un altro colore e al porto i pescatori parlano un altro dialetto, incomprensibile per lui. Ma chi lo dice che la serenità non si può trovare altrove? Antonio l’ha trovata. Una città che lo ama (almeno la parte dove “Il cielo è sempre più blu“), una ragazza che gli darà un figlio. E allora sì, adesso può andare sotto la sua curva, quella biancorossa, a mandare baci e cuoricini. Cassano è quel tipo di giocatore che ha bisogno di queste situazioni. Uno stadio intero che lo ama, che lo acclama. Una sua grande debolezza che lo rende umano, e ci avvicina al suo passato, ai calci tirati per strada, alla madre da difendere, ai giubbotti usati come pali davanti alla Basilica di San Nicola. Ma non c’è tempo per i sentimentalismi. Il Bari di Ventura è una macchina perfetta. Difesa solida, centrocampo di corridori e grande movimento in attacco. Nessun calcio spettacolo d’assalto. Lo spettacolo è nella sincronia dei movimenti. Non per niente il risultato più gettonato per noi è lo 0 a 0. Ma non sono mai pareggi noiosi, anche quando non arrivano i gol. Il Bari gioca, eccome se gioca, e spesso costringe gli altri a difendersi. Lo fa anche con la Sampdoria. Cassano e Pazzini fanno fatica a dialogare. Ranocchia e Bonucci disputano la partita perfetta. Quella che li consacrerà all’attenzione di tutta l’Europa. Quando, con un pizzico di tracotanza, sui giornali si parlerà della difesa del Bari come una delle più forti, non solo in Italia. i due centrali, fortemente voluti da Ventura, chiudono tutti gli spazi, ripartono con eleganza e si scambiano grinta e complicità. Dove ogni tanto sbanda Bonucci (per troppa sicurezza, dote che solo i difensori di classe possono avere), ci pensa Gillet, con due interventi prodigiosi di seguito, su Cassano prima e su Pazzini poi. Il capitano è parte integrante dello spettacolo. I continui retropassaggi verso di lui, che tanto ci avevano fatto preoccupare (quasi rabbrividire, di certo bestemmiare) nella partita inaugurale contro l’Inter, diventano abitudine, certezza, marchio di fabbrica di una squadra che riparte dal proprio portiere, per “allargare il gioco”. Anche Del Neri, come Mourinho prima e Leonardo poi, finisce nella trappola di Ventura. Il Bari corre e fa correre, anche se di tiri in porta se ne vedono pochi. Alvarez in compenso fa impazzire Cacciatore, mentre Langella, in una delle sue rarissime apparizioni con la maglia del Bari, tiene a bada Mannini. La curva biancorossa canta, lo spettacolo è anche fuori dal campo. Prova generale dell’esodo di Roma, quando in 12.000 raggiungeranno la capitale. Ventura chiede ad Almiron di pressare Palombo e a Donati di seguire Poli. Gillet è strepitoso su Mannini ad inizio secondo tempo. Poi è Alvarez, solo davanti a Castellazzi a mangiarsi incredibilmente il gol del vantaggio. Veloce è veloce, ma quanti gol si mangia l’hondureno.Un lancio di Bonucci trova Kutuzov liberissimo. Il bielorusso però si perde nella sua specialità da trasferta: inciampare sul pallone. Mister Libidine capisce che è arrivato il momento di rischiare Meggiorini. Lui che contro il Milan si era mangiato un gol clamoroso. Lui che però, fresco com’è, può trovare lo spunto decisivo. Siamo al 90′. Il pareggio va bene ma il Bari non si accontenta. Meggiorini viene servito da un filtrante laterale di Barreto, prima prova a tirare al volo e liscia il pallone, quindi si ritrova non si sa come a tu per tu con Castellazzi, che lo stende. Rigore solare a giallo per il portiere blucerchiato. Sul dischetto va Barreto. I rigori al 90′ non mi piacciono. Mi mettono addosso troppa ansia. Barreto sistema il pallone. Spiazzalo Vitino. Castellazzi è nervoso, balla sulla linea. Troppo piccolo Barreto, troppo grosso Castellazzi per le telecamere in HD di Sky, quelle alle quali non eravamo abituati, tra Cittadelle varie e campi di provincia. Troppo piccola la porta per me. Lo specchio si restringe mentre Vitor prende la rincorsa. Fuori. Porca puttana, fuori. Avevamo la vittoria in tasca e invece il pallone, beffardo, si adagia sui cartelloni pubblicitari mentre Castellazzi si prende la briga di andare a insultare l’arbitro, anche se è già ammonito. Un’altra squadra tirerebbe i remi in barca, accontentandosi del pareggio. Questo Bari, quel Bari, quello che un anno dopo si scioglierà come neve al sole, no. Trova la forza per gettarsi nuovamente in attacco e un calcio di punizione sulla tre quarti. Almiron inventa un pallonetto magico quando tutti si aspettano la botta secca. Barreto, dimenticato in area allunga di testa verso il secondo palo. Bonucci, quello che ha disputato una partita perfetta, si avventa sul pallone e lo spedisce in rete. Delirio. Cosa c’è di più bello? Rigore sbagliato al 90′ e gol della vittoria due minuti più tardi. Invece niente. Bandierina alta e gol annullato. Donati si va a prendere un’ammonizione per proteste, mani nei capelli e un po’ di rabbia agonostica. Il replay dimostrerà che la rete era regolare e che Bonucci era dietro la linea del pallone, ma non fa niente. La partita finisce, i biancorossi escono dal campo tra gli applausi, la Samp (e Cassano) tra qualche fischio. Antonio si sfogherà davanti alla telecamera (Chi è stato abituato a mangiare troppo bene… tralascio il resto per pudore) Il Bari torna a casa con la consapevolezza di essere una squadra di grande carattere, che può giocarsela con tutti. Io spengo la tv deluso, ma felice di aver visto un grande Bari. Come posso immaginare che un giorno finirò per odiarli molti di questi giocatori?

prossima puntata: Inter – Bari, 1 novembre 1998