Tag Archives: Materazzi

65) Bari – Alcamo, 16 gennaio 1977 – U Bàr iè fort (?)

7 Mar

Leggendo un bellissimo libro di Michele Dalai ho trovato questa splendida definizione: “Sono disposto ad ammettere che il calcio sia la cosa più seria tra le cose poco serie e la meno seria tra quelle serie, un limbo in cui si colloca appena sopra la teologia e l’astrologia e molto sotto la medicina e il bricolage. Ciò non toglie che il tifo e i suoi derivati siano una formidabile voce attiva per l’economia mondiale”. Ecco, a Bari questa voce attiva è ferma da diverso tempo. Negli ultimi dieci anni si è palesata soltanto in due stagioni, una e mezza per essere precisi. Quanti caffè vengono consumati, quante birre, quante copie di giornali illeggibili, quanti abbonamenti a televisioni satellitari, quante maglie di giocatori che solo dopo un anno vanno altrove e quindi verranno sostituite? Quindi, pur nella sua serena accettazione del calcio e della sua dimensione ludica, permettetemi di considerarlo un gioco importante, uno di quelli per cui vale la pena persino litigare o sprecare parole di fuoco. Senza eccedere. Stiamo pur sempre parlando di un gioco. Una settimana fa, dopo la sconfitta in casa contro il Verona, ho provato un senso di sconforto. Di quelli che, per carità, a guardare il Bari ti prendono spesso. Ma stavolta davvero ho avuto la percezione di una storia arrivata al culmine, nel peggiore dei modi. Con una squadra abbandonata, una Società e una città indifferenti a questo crollo.

Eppure un tempo, a Bari, si sono viste anche partite e categorie peggiori. Ma c’era l’entusiasmo. E l’entusiasmo è tutto ciò che serve per passare una domenica allo stadio e farsela bastare, per essere felici. Nel 1977 non ero ancora nato, e il Bari giocava in serie C, quella che oggi qualche manager moderno e poco ispirato ha deciso di chiamare Lega Pro. Me ne fotto, non mi avranno. Per me si chiameranno sempre così: C1 e C2, le ultime due gare della schedina, quelle che sparavi a caso ed erano quasi sempre X. Quelle che ti mandavano a puttane il 13 perché succedeva sempre qualcosa di strano. Un giorno capirò anche perchè Tempio – Olbia si giocava almeno 10 volte all’anno. Sicuramente si trattava di una congiura indipendentista sarda. Ma torniamo a noi: il mio amico Leonardo mi racconta che, nonostante la categoria e l’infimo livello tecnico, lo Stadio della Vittoria era sempre pieno. Altri tempi, dirà qualcuno. Ma cosa esattamente ci rendeva così attaccati alla squadra, alla maglia, per andare a vedere una partita come Bari – Alcamo e riempire i distinti e le curve in ogni ordine di posto? Erano i tempi delle prime radiocronache di un giovanissimo Michele Salomone (a proposito, chiunque abbia trovato il suo tablet glielo renda, fatelo per la Bari), fatte con il walki- talkie e poi rigirate da qualche tecnico volenteroso da una cabina telefonica o da un telefono di un bar vicino allo stadio.

I tifosi usavano l’espressione andare al Campo (lo stadio era San Siro), i biglietti costavano 3000 lire e molte famiglie, dopo il lauto pasto domenicale a base di braciole di cavallo (altro che Buitoni e le sue tracce), si accomodavano in tribuna. Non c’erano le cancellate che dividevano le curve e quindi chi non riusciva ad occupare i posti centrali durante l’intervallo si spostava da una curva all’altra per vedere da vicino i gol del Bari. C’erano i venditori di Borghetti (una delle poche cose rimaste identiche, nel calcio) chi vendeva le ciungomme con lancio millimetrico, chi vendeva il parasole, che non era altro che un ritaglio di cartone a forma di boomerang con pinzato l’elastico, chi vendeva le bibite della Appia Drink Pack. Bibite contenute in involucri di alluminio a forma di piramide. La leggenda narra che si doveva forare questo involucro con la cannuccia per poi bere l’aranciata, il chinotto o la cola. La difficoltà consisteva nel forare quel maledetto e inespugnabile involucro tanto che molto spesso la bevanda diventava calda a furia di tentativi mancati. Spariranno dal mercato negli anni successivi, per la felicità della Tetrapak.

Ma torniamo alla partita. Il Bari, al terzo anno consecutivo di serie C girone meridionale, dopo un secondo posto nel 1975 ed un terzo nel 1976, allenata da Giacomo Losi, detto er core de Roma, veleggia in testa alla classifica a parecchi punti di distanza dalla seconda classificata. Parliamo nientepopodimenoche della Paganese. Ultimo anno del Prof. Angelo De Palo, presidente galantuomo, illustre ginecologo, scomparso nel ritiro del Bari durante l’estate successiva. In campo c’erano Ferioli in porta, Maldera II, fratello del giocatore del Milan Maldera III (una volta si usava distinguere i fratelli con il numero, ricordate la leggenda di Sentimenti IV?), Angioletto Frappampina, barese verace, forte terzino fluidificante, il rosso Punziano stopper e Consonni libero. A centrocampo Sigarini, Materazzi (futuro padre di Marco ed allenatore del Bari in due occasioni), l’altro Barese Sciannimanico e D’Angelo in regia. Con il numero 7  Scarrone, eccelso rigorista, e di punta Nico Penzo (capocannoniere con 16 goal ). Quest’ultimo si alternava con altri tre attaccanti della rosa: Asnicar che aveva sostituito a novembre Italo Florio idolo della tifoseria barese, noto per essersi seduto per protesta su un pallone qualche anno prima, Raffaele, altro prodotto del vivaio, e Biloni, un’ottima seconda punta, antesignano di Raducioiu, contestato dalla tifoseria barese per i tanti errori sotto rete, ma che assieme agli altri sarà comunque determinante ai fini della promozione.

Quella freddissima domenica del 16 gennaio, penultima di andata, si presenta a Bari una squadra del profondo sud della Sicilia che a me, laureato in lettere, ricorda una sola cosa: i versi di Cielo d’Alcamo. La cronaca narra che giocasse su un campo molto simile a quello del Di Cagno Abbrescia in giornata di gloria. Arriva a Bari da ultima in classifica e senza nemmeno tutti i giocatori in panchina. Pare fossero in tredici e non avessero neanche la maglia da trasferta, dimenticata in Sicilia. Cosa che obbliga il Bari a scendere in campo in divisa rossa. Si preannuncia la più classica delle vicuate (termine barese col quale si suole parlare di goleade). Ma succede che l’Alcamo, in maglia a righe bianconere, sembra la Juventus. Resiste con i suoi 11 eroi per un giorno agli attacchi di uno svogliato e infreddolito Bari, mostrando persino un bel calcio. Il primo tempo finisce 0 a 0 e Leo mi racconta che tra gli spettatori inizia a insinuarsi il pessimismo.

Arrivano, Arrivano – il sapientone di turno tranquillizza i distinti – a queste squadre basta farne uno e poi gli altri sono a seguire!

E invece non solo il gol non arriva, ma un certo Falce, all’inizio del secondo tempo, porta in vantaggio l’Alcamo. Per tutto il resto del tempo il Bari cerca di almeno pareggiare, ma gli attacchi diventano sempre più affannosi, mentre la squadra avversaria capisce che può uscire dal Della Vittoria con il bottino pieno. Niente da fare, il fortino è inespugnabile, la partita finisce 0 a 1. Gli ospiti festeggiano come se avessero espugnato il Bernabeu, i baresi escono a testa bassa, ma non ci sono fischi per loro. Il rito della domenica di festa continua. Anche in serie C. Anche dopo aver perso contro l’ultima in classifica. Anche se fa un freddo cane, che se stavamo a casa a guardare Domenica In era meglio. Ma chi ci crede. Per la cronaca il Bari, già matematicamente promosso, perderà per 2-1 anche al ritorno. Nonostante i quattro punti regalati (la mia mentalità post moderna stava per farmi dire 6) l’Alcamo retrocederà a causa della differenza reti. Saranno il Licata (con Zeman) e l’Acireale (di Papadopulo) a rappresentare la provincia siciliana negli anni a seguire.

ps: approfitto di questo (mio) spazio per dirvi che è uscito il mio nuovo romanzo, Domani no. Se vi piace come scrivo perchè non provate a dargli un’occhiata?

Ringraziamenti: Leonardo Losito

Prossima partita: Chievo – Bari, 18 ottobre 2009 

Una formazione dell'Alcamo anni '70

Una formazione dell’Alcamo anni ’70

La verità, vi prego, sul pallone #15

17 Dic

La notizia è che la Juventus è campione di inverno. E questo titolo è molto meno simbolico di quello che sembra. Nel 90% dei casi, la statistica dice che chi conquista questo traguardo (a dicembre) a maggio è campione d’Italia. Non vedo come il campionato 2012-2013 possa sfuggire a questa regola. Non tanto per lo strapotere bianconero. Anche oggi la Juventus ha trasformato una partita insidiosa (l’Atalanta aveva battuto il Napoli e l’Inter) in una passeggiata. E questo riesce solo alle grandi squadre. Quelle che nell’arco di un girone dimostrano una continuità spaventosa. E dopo un passo falso vincono tre partite consecutive. Rispetto all’anno scorso la Juventus ha perso due partite (contro zero) ma in compenso ha pareggiato molto meno e adesso si trova a gestire un vantaggio importantissimo su inseguitrici che non ci sono. Infatti è questa, più dei gol di Vucinic, Pirlo (che punizione la sua) e Marchisio (sempre più decisivo) la vera notizia.

Dietro la Juventus c’è il vuoto. Napoli, Inter e Lazio, rispettivamente distanti 8 e 9 punti alternano domeniche di gloria a scivoloni improvvisi, dandosi il cambio al secondo posto e favorendo la fuga di chi sta davanti. Oggi è toccato al Napoli, alla seconda sconfitta consecutiva. Ma se perdere a San Siro contro l’Inter ci sta, non si può dire la stessa cosa dopo la sconfitta in casa contro il Bologna. Anche se quello del San Paolo è stato un ottimo Bologna, ben messo in campo da Pioli e con un grande Portanova. Si è parlato poco di lui in questi mesi, eppure ha avuto la stessa squalifica di Conte.

Certo che se si considera fuori dai giochi la seconda, non vedo chi possa dare filo da torcere alla capolista. Forse non l’Inter. Anche la squadra si Stramaccioni alterna prestazioni convincenti ad altre abuliche. Non è il caso della partita dell’Olimpico ma gli almanacchi raccontano un’altra sconfitta. All’inizio dell’anno soffriva in casa e dominava in trasferta. Adesso accade l’esatto contrario e con quella di Roma le sconfitte di fila, fuori casa, sono quattro. Inizia a sentirsi l’assenza di chi potrebbe illuminare il gioco, a volte prevedibile, dei nerazzurri. Moratti e Branca devono decidere cosa fare. O Sneijider rientra (magari senza twitter), oppure si vende e si sostituisce. Bene la Lazio, ma i punti dicono che anche i biancocelesti sono una squadra altalenante. Più solida di Napoli e Inter ma comunque poco costante. La vittoria di sabato è figlia di una prestazione tenace e di un Klose maestoso. Se la Lazio dovesse arrivare sopra il Napoli e l’Inter non mi sorprenderei.

Di più non scommetterei. Il resto della giornata racconta un’altra bella vittoria del Milan. Allegri sta bene, la squadra anche. I rossoneri mi ricordano molto l’Inter dello scorso anno che scalò diverse posizioni prima di arenarnsi per lo sforzo di quella rimonta. Ovviamente i milanisti sono liberi di toccare ferro. E comunqe questo Milan ha dei giovani interessantissimi e una prospettiva rosea. Tutto sta ad aver pazienza e non illudersi che sia questo l’anno della rivincita. La Roma inciampa sul più bello. Un po’ su dei rigori reclamati (e chi li ha visti?), un pò sulla nebbia e alla fine torna da Verona con le classiche pive nel sacco. Torna alla vittoria la Fiorentina con un Toni che sembra davvero tornato quello dei tempi belli e un Pizzaro che segna e dedica il gol alla sorella scomparsa da poco. A parte i facili romanticismi credo sia lui il segreto del bel giocattolo di Montella. Un giocatore che sa dettare i tempi come pochi e che, a mio parere, non è mai stato valorizzato quanto avrebbe meritato. La sconfitta del Siena costa la panchina a Cosmi. Un allenatore che io stimo tantissimo. In bocca a lupo.

Momento difficile per molti portieri. Avevamo parlato di Viviano che infatti nel derby contro il Siena si è accomodato in panchina. A Roma Zeman ha ormai scelto Goicoechea al posto del vice campione del mondo Stekelenburg. La società non è felicissima, ma si adegua. Pare che l’uruguaiano sappia comandare meglio la difesa e a Zeman non interessa quanto guadagnano i suoi giocatori (altrimenti De Rossi sarebbe titolare sempre). Non se la passa bene neanche Gillet a Torino. Fonti certe mi riferiscono che la società è a caccia di un sostituto. A questo punto l’ex portiere del Bari potrebbe tornare in Belgio, o chissà. Mi affaccio un attimo in serie B per segnalrvi che a Cesena segna l’ottavo gol consecutivo un certo Davide Succi. Uno degli attaccanti italiani più prolifici, quando giocano. Se non l’avessero penalizzato svariati infortuni avrebbe fatto tutt’altra carriera. Ieri mattina si è giocata anche la finale di Coppa del mondo per Club. Il Chealsea di Benitez ha perso contro i brasiliani del Chorintians, squadra di Paulinho. Il titolo torna in Sudamerica dopo 6 anni. E Materazzi si toglie un bel sassolino dalla scarpa. Il suo tweet dopo la gara parla più di mille parole. Fortuna che a Materazzi Twitter non possono toglierlo.

67784_10151177172721818_297825743_n

58) Cremonese – Bari, 10 dicembre 1995 – U Bàr iè fort (?)

31 Ott

Ci sono partite che non si possono dimenticare. E non perchè la tua squadra ha dominato in lungo e in largo strapazzando l’avversario. E nemmeno perchè, con un colpo di fortuna, le ha vinte al novantesimo su un contropiede inaspettato dopo un assedio durato 89 minuti. Ci sono partite che non le puoi scordare perchè gli schiaffi in faccia si fa fatica a dimenticarli, e basta. Il Bari champagne di Materazzi non c’è più. La squadra che ha stupito l’Italia andando a vincere due volte a Milano conquistando la simpatia delle tv internazionali a suon di trenini si è attorcigliata su se stessa. Una specialità di casa Bari quella di tessere e disfare la tela, proprio come Penelope, nel volgere di una sola stagione. Eppure da Bari sono partiti solo gli enfant prodige Bigica e Amoruso, destinazione Firenze, e il centravanti Tovalieri, troppo presto bollato come “finito”. La strategia non sarebbe del tutto sbagliata se solo Abel Xavier fosse stato presentato per ciò che era (un terzino, lo dimostrerà agli Europei del 200) e Sala e Kennet Andersonn non ci avessero messo un intero girone d’andata a capire il campionato italiano (cosa, tra l’altro, prevedibile). E insomma si arriva alla sfida con la Sampdoria con l’acqua alla gol, Xavier in panchina, e il giovane Ventola al suo esordio in A da titolare a sostituire il lungagnone svedese. Il risultato è una frittata. La Samp passeggia al San Nicola con una tripletta di Chiesa, Ventola viene annullato da Riccardo Ferri, la curva inizia a sfottere Materazzi in maniera ironica ma molto ferma e la Società opta per un cambio di allenatore. Fascetti, spesso accostato in passato alla panchina del Bari, viene prelevato di forza dalle poltrone di Stadio Sprint e trova una squadra in difficoltà ma non certo spacciata. Protti attraversa il miglior momento della sua carriera e molti protagonisti della stagione precedente non possono essere diventati brocchi in un solo colpo. Fascetti dichiara subito che punterà su Abel Xavier e che il suo vero ruolo è quello di libero. A Cremona vedrete di che pasta è fatto il portoghese dice. Quale migliore occasione per partire per Cremona? Vedrai che città, una bomboniera, mi dice Leonardo, il mio amico nel frattempo trasferitosi a Brescia per motivi di lavoro. E’ il 10 dicembre del 1995. Dopo aver fatto scorte di torrone ci rechiamo allo stadio, non prima di una puntata in Autogrill e per vedere le facce allegre e distese di Matarrese e Fascetti. Sembra si conoscano da una vita, pensiamo. Sarà il preludio di una lunga storia iniziata non nel migliore dei modi, in realtà. Vista la civiltà e l’educazione della città optiamo per i distinti, sciarpa al collo. Fossero tutte così le trasferte. Xavier è libero e capitano, è il giorno del suo riscatto. La Cremonese, allenata da quel gran signore di Gigi Simoni schiera tra gli altri il portiere Turci, il futuro capitano del Bari Gigi Garzya, Petrachi (ex Andria, oggi ds del Toro), De Agostini, Maspero e Florijancic. Fa il suo esordio in A l’italo – australiano Aloisi. Pronti via il Bari è già sotto. Punizione di Maspero ed autorete di Brioschi che di testa cerca di anticipare Florjancic. Siamo all’8 ed è già 1-0. Il Bari è in partita, attacca e sfiora il pareggio, che ottiene al 21′ con una punizione dai di 25 metri di  K. Andersson che infila Turci con un rasoterra. 1 a 1. Finalmente. Per la gioia del pareggio sveliamo la nostra “baresità” ai vicini cremonesi, che in cambio sorridono. La partita è aperta, Fascetti ha dato una svegliata alla squadra. Pensiamo. Poi passano 5 minuti, e ci ritroviamo in un incubo. Gualco di testa su angolo di Maspero 2 a 1. Testa di Aloisi su punizione Florijancic, traversa piena. Florijancic segna di testa su cross di Giandebiaggi:  3 a 1.Perovic di testa su cross di Maspero 4 a 1. Aloisi di testa su cross di Florijancic: 5 a 1, e non è ancora finito il primo tempo. Io e Leonardo immaginiamo l’espressione soddisfatta di Carlo Sassi a Quelli che il calcio e pensiamo alla fuga. Iniziamo anche ad intuire di che pasta è fatto Abel Xavier. Di pasta frolla. La Cremonese sembra il Real Madrid, Abel Xavier un palo della luce e Fontana, anche lui, va a farfalle su ogni pallone. A fine primo tempo chiedo una tregua a Leonardo, ma lui obietta che il Bari va seguito fino alla fine, nella buona e nella cattiva sorte. Mi sarà di grande aiuto questa sua affermazione per gli anni a venire. Qualcuno ci mette una mano sulle spalle, dimostrando comprensione. Il telefono di Leonardo squilla, qualcuno gli chiede se è tutto vero. Sì, ci stiamo cappottando. Le sostituzioni di Fascetti servono solo a far capire a Brioschi e Gautieri che da quel momento in poi non sarà una stagione semplice, per loro. Al 15′ ancora Aloisi, su cross di Petrachi porta il risultato sul 6 a 1. Il tempo di un altro gol annullato alla Cremonese e il ritorno in campo di Tentoni che, giusto per partecipare alla festa, segna il gol del 7 a 1. Ok, Leonardo, per me basta così, andiamo a casa. Ti seguo. Prendiamoci un caffè insieme però prima di partire. Curioso constatare che Materazzi ha sostituito Fascetti a Stadio Sprint e il dispiacere per quelli che erano “i suoi ragazzi” appare sincero. Luzzara e Simoni, signori di altri tempi, si scusano con il Bari per il risultato troppo pesante. Fascetti dice che gli sembrava di essere su Scherzi a Parte. Una cosa è certa: da quel giorno non vedremo più Xavier a fare il libero. Adesso che ci penso non credo di averlo più visto in campo, a Bari.

Vuoi leggere la partita di ritorno (gol indimenticabile di Igor Protti)? Clicca qui

Si ringrazia per il prezioso contributo giornalistico l’amico Leonardo Losito, sempre puntuale e dettagliato.

54) Milan – Bari, 28 maggio 1995, U Bàr iè fort (?)

28 Set

Di mestiere fanno il portiere. Un ruolo delicato per il quale devi avere una leggera predisposizione alla follia. E in Romagna di follia ne hanno tanta. In modo diverso però. Seba Rossi è un ragazzo scrupoloso, metodico, costante. Sembra un portiere old style, a suo modo senza slancio, di quelli che apparentemente non risolvono i campionati. Ma chiudono la saracinesca. Tanto da arrivare a stabilire persino il record assoluto di imbattibilità in Italia (903 minuti interrotti da un gol di Kolyvanov del Foggia). Bella forza, direte voi. Con quella difesa. Ma vi assicuro che si sono viste difese altrettanto forti e poi i numeri sono numeri, insomma questo record ce l’ha lui: Seba Rossi. Ogni tanto sbrocca, e quando lo fa perde la testa. Chiedere a Bucchi del Perugia per maggiori informazioni. Allo spettacolo preferisce la parata efficace. Piuttosto che tuffarsi per smanacciare il pallone diretto nel sette fa due passi a sinistra e da fermo blocca il pallone facendo un cenno di no a chi ha tentato di beffarlo dalla distanza. Seba viene da Cesena. Con quella squadra si fa notare e fa il salto verso Milano, lasciando il posto ad Alberto Jimmy Fontana. Jimmy ha tutt’altro stile: è un portiere spettacolare, di quelli che amano gli scatti dei fotografi, le prese plastiche, le capigliature fantasiose. Ricorda Daniele Lucchetta, il pallavolista anni ’90 di cui è anche amico. Anche lui ha uno stile da pallavolo. Ogni tanto si salva in bagher, spesso preferisce la respinta. Ma è efficace e sicuro quanto il suo predecessore. Il suo carattere istrionico lo porta ad essere un vero e proprio idolo della curva. Salta non noi Jimmy Fontana. Il 28 maggio del 1995 si affrontano a San Siro rispettivamente con le maglie del Milan e del Bari. Ma soprattutto si affrontano da cognati. Il caso (e la Romagna) ha voluto che sposassero due sorelle e per l’occasione la trasmissione Quelli che il calcio ha deciso di invitarle entrambe in studio. Va in scena così quella che per me rimane la prima e unica partita vissuta unicamente attraverso i volti delle mogli dei due portieri. All’epoca la storica trasmissione di Beldì poteva permettersi anche di entrare negli stadi e mostrare le immagine dei giocatori (solo a palla lontana) e delle esultanze a seguito dei gol. Conoscevamo a memoria le imprecazioni di Idris e aspettavamo i gol di Batistuta per poter sentire “Oh Fiorentina, di ogni squadra ti vogliam regina“. No, non sono passati cento anni, sono meno di venti eppure sembrano tempi così lontani. Quelli che il calcio era una rivoluzione. Una prima vera alternativa alla radio, con la possibilità di vedere in faccia i giocatori e quella telecamera che entrava negli stadi a mostrarci un lato meno stressante e più umano del calcio. Mi piaceva. E mi piaceva il Bari di Materazzi perchè sapeva stupire, farsi raccontare e in quella trasmissione ci stava benissimo. Come il trenino di Guerrero e company che andava in scena dopo ogni gol. Faceva parte ormai del rituale di quella trasmissione e in tutta Italia potevano vederlo e imitarlo, tanto da portarlo in scena durante film e fiction tv, non solo Made in Bari. Ricordo a tal proposito il grido di ovazione che levò una volta in un cinema di Bari. Stavo guardando un film molto discutibile ma che ebbe un successo incredibile al botteghino: Selvaggi. Ad un certo punto Ezio Greggio e company si mettono a giocare a pallone in spiaggia (un classico del cinema italiano, da Marrakesh Express a Tre uomini e una gamba). Emilio Solfrizzi fa gol e convince tutti i suoi compagni di squadra a cimentarsi nel trenino. Indimenticabile la reazione della sala, come se avesse segnato Igor Protti. E comunque il bello era che quel Bari giocava un gran calcio. Le geometrie di Barone, gli inserimenti di Pedone, l’intelligenza tattica del giovanissimo Emiliano Bigica, capitano a soli 20 anni. Una difesa di ferro che poteva contare su Amoruso e Ricci (chiuderà la sua carriera con Campioni), un attacco essenziale ma efficace con Protti a fare da spalle al Cobra Tovalieri, uno arrivato in serie A più tardi del dovuto, a dimostrare che chi ha sempre fatto gol, a prescindere dalla serie, sa come si fa. Sarà per questo che il Bari se la gioca ovunque, anche a San Siro, dove ha già vinto contro l’Inter per 2 a 1 nelle prime giornate di campionato. La squadra è già salva ma vuole continuare a stupire e divertire. Amoruso impegna Rossi con un tiro dalla distanza ma è solo un sussulto. Il Milan reagisce e prova con l’ex Boban da fuori area. Il pallone finisce alto, Fontana controlla. Le mogli dei portieri sembrano serene. Sono due sorelle molto unite, si direbbe. Fanno un tifo discreto per i loro mariti, al tempo stesso sembrano a loro agio negli studi televisivi, senza approfittare troppo della vetrina. La moglie di Fontana ogni tanto fa una faccia preoccupata e io capisco che il Milan sta attaccando. I suoi sospiri di sollievo mi fanno intendere che il pallone è terminato tra le braccia di Jimmy o fuori dallo specchio della porta. Secondo tempo. Protti ci prova da fuori area, è la radio che me lo dice. Il suo tiro termina a lato di pochissimo. Ma il Bari prende coraggio. Siamo quasi al ventesimo minuto quando Quelli che il calcio si sofferma su Seba Rossi, apparentemente inoperoso. Poi lo vedo tuffarsi, evidentemente qualcuno deve aver tirato da lontano all’improvviso. Le telecamere non possono seguire l’azione, si soffermano sul portierone rossonero. Un altro tuffo e allora sobbalzo anche io dalla poltrona. Poi lo sguardo della moglie. Preoccupato, niente di serio, ma un filino teso. L’inquadratura seguente mostra il pallone rotolare in rete. Ma allora è gol? “Vantaggio del Bari a San Siro – la voce arriva dalla radio – Sandro Tovalieri bravo ad irrompere su un tiro cross di Gautieri, prima si fa parare la conclusione mancina da Rossi e poi insacca di destro alle spalle del portiere rossonero, quindi Milan 0, Bari 1, studio“. Esulto anche io come il Cobra. Il Bari sbanca Milano per la seconda volta in stagione. Un record difficile da battere. I bambini sotto casa, appresa la notizia, interrompono una partitella per dare vita ad un trenino, sbucciandosi le ginocchia sull’asfalto. Poi mi ricordo che sono bambino anche io. E scendo a giocare. Diventa tutto più facile quando hai degli idoli da imitare.

ps: la favola dei due portieri cognati si interruppe qualche anno dopo quando Seba Rossi divorziò da sua moglie.

53) Bari – Lecce, 22 dicembre 2007 – U Bàr iè fort

20 Set

Quante volte vi siete fatti raccontare un derby? Magari dai vostri genitori, dai vostri nonni, da qualche amico coraggioso che prima di altri ha affrontato una trasferta. Beh, i derby non sono tutti uguali. Bari è il capoluogo della Puglia, snodo del meridione, la città più grande e più esposta ai venti del Levante. Inevitabile che tutti, intorno a noi, ci odino. Lo fanno i foggiani, con i quali ci siamo divertiti durante gli anni ’90 in derby di serie A di altissimo livello. Ci odiano i tarantini, con i quali abbiamo condiviso soprattutto i derby degli anni ’80, resi ancora più accesi dal “tradimento” di Pietro Maiellaro, da Idolo dello Jacovone a fromboliere del Bari. Ma il derby con il Lecce, vuoi per il numero di partecipazioni alla serie A, vuoi per il carattere dei salentini, totalmente opposto al nostro, è sempre stato il più sentito. Si dice che Lecce è maniera, Bari è mestiere. Beh, si potrebbe continuare all’infinito. Lecce è barocca, Bari è romanica. Lecce è decantazione, attesa, pensiero. Bari è fretta, lavoro, azione. Lecce è arte, Bari è negozio. E così via. Salento is not Puglia, diranno gli stessi leccesi qualche anno più tardi rispetto alla storia che mi appresto a raccontare. E sì, perchè non tutte le storie sono a lieto fine, almeno per me. E poi, anche quando le cose vanno male (in questo caso molto male) c’è sempre una lezione da imparare, da prendere e portare a casa, da custodire gelosamente come il ricordo di questa partita. Avevo detto che non avrei parlato solo di successi e trionfi. Non riuscirei a riempire una rubrica di 100 partite. E poi chi l’ha detto che dietro una sconfitta non si nasconda il segreto di una rinascita? Toccare il fondo per risalire, prima a fatica, poi di scatto, con orgoglio e convinzione, quella che mancava da tempo a Bari. Otto anni per la precisione. E allora partirò dal fondo, quello che abbiamo toccato il 22 dicembre del 2007. Una giornata che farò fatica a dimenticare. Vivo fuori e torno a Bari per le festività natalizie. Anticipo di qualche giorno per potermi godere il derby con il Lecce. Loro vanno forte, la squadra è costruita per tornare in A e Papadopulo è garanzia di concretezza. Il Bari arranca. Però in casa abbiamo sempre detto la nostra. Insomma i presupposti per lo sgambetto al Lecce ci sono comunque, nonostante Materazzi scelga una squadra prudente, forse troppo. Insomma, torno a Bari, dicevo. La mia ex ragazza dice che non vuole tornare con me 24 ore prima e avrei dovuto percepirli subito i contorni della tragedia. Chiedo ai miei amici se vogliono venire allo stadio con me e ottengo la risposta dei giorni peggiori “Angor dret o’Bàr vè?“. Incasso e mi metto in macchina. Parcheggio nel mio posto portafortuna e mi sobbarco inutili chilometri scaramantici a piedi. Avrei potuto parcheggiare sotto la tribuna est e nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Mi imbatto in un paio di macchine di tifosi leccesi. Un tipo lancia una bottiglietta di birra per farmi spaventare. Ma non ci riesce. Guardo la classifica, quella sì che mi spaventa. A ridosso della zona retrocessione e con una squadra di merda. Che il dio del pallone ce la mandi buona. I derby sono belli quando sono ad armi pari. Disperati contro disperati, rivelazioni contro rivelazioni, e così via. Questo non lo è. Non lo è sul campo, dove Tiribocchi e Abbruscato sembrano di un’altra categoria. Non lo è sugli spalti dove nonostante la curva barese tenti di sembrare compatta e coraggiosa è comunque sconfortata dalla presenza dei Ladino e dei Rajcic del caso. E Santoruvo e Cavalli non sono in giornata, e si vede subito. Eppure la partita è stranamente equilibrata, con il Lecce che attacca e il Bari che arretra, ma pur sempre equilibrata. Qualche fiammata, alcuni contropiedi e quella sensazione che possa finire anche 0 a 0 questo derby dimenticabile. Invece al’improvviso la partita diventa indimenticabile. Un incubo. Che si materializza quando Angelo scappa sulla fascia destra e crossa al centro per Abbruscato che allunga verso Ariatti. Nuovo cross e questa volta colpo di testa e rete del vantaggio leccese. Incasso, con filosofia. Michele Emiliano, sindaco di Bari, qualche fila sotto di me, allarga le braccia. Abbiamo tempo per rimediare, sembra essere il suo pensiero. A Lecce è già Natale invece. E che sia la giornata sbagliata lo si capisce definitivamente un minuto più tardi quando Donda batte una punizione e Stellini colpisce di testa mandando le speranze di chiudere il primo tempo sull’1 a 1 direttamente sulla traversa. Il tempo di mettersi le mani tra i capelli. Poi c’è Rosati, il portiere, che rinvia direttamente sul sinistro di Tiribocchi che colpisce al volo da fuori area e manda in delirio la curva Sud e negli inferi il resto dello stadio. L’intervallo serve solo a guardarsi in faccia, tra di noi, e chiederci chi ce l’ha fatto fare. Le squadre tornano in campo e il copione peggiora. Passa un quarto d’ora. Tiraccio da fuori area di Ariatti, stinco di Abbruscato e rete dello 0 a 3. Qualcuno inizia ad abbandonare lo stadio, qualcun altro a irridere la propria squadra che, per inciso, non fa nulla per non farsi irridere. Materazzi fa pensieri amari, in tribuna si fanno già i nomi dei sostituti. Nessuno fa il nome che faccio io, anzi qualcuno mi prende per il culo “Sì, ci manca quel fallito. Pure retrocesso, con l’Arezzo. No, no… leccesi non ne vogliamo“. Decido che è inutile spiegare che con l’Arezzo non è retrocesso lui ma Sarri che l’ha sostituito per 8 partite perdendone 7 e che lui aveva fatto un rimonta eccezionale e che per poco non si salvava. Decido che è inutile perchè tanto chiameranno lo Sciannimanico di turno. Il tempo di rimettere gli occhi su quel prato verde e vedo Tiribocchi involarsi ancora, scambiare con Tulli e irridere lo stadio San Nicola per la quarta volta. Adesso sì, la curva si svuota davvero. Resto seduto in tribuna a guardare il via vai generale. No, non mi hanno insegnato questo. Si resta a soffrire fino al fischio finale. Non mi piace chi abbandona la nave che affonda. E questa affonda davvero, stavolta definitivamente. Finisce con i giallorossi in delirio. Di biancorosso, nello stadio, è rimasta solo la mia sciarpa. Torno a casa sconsolato. Ci pensa mia madre a darmi la mazzata finale “Potevi stare quà, ancora con questo Bari“. Apprendo qualche ora più tardi che Materazzi ha dato le dimissioni. Al suo posto una scommessa: Antonio Conte. Ecco come, a volte, solo toccando il fondo può iniziare una nuova storia. Quella di Checco Zalone che dice “Nei momenti tragici, nelle asperità…“, quella di una squadra che pian piano reagisce, si rialza. Una squadra che al ritorno, senza obiettivi di classifica, andrà a vincere a Lecce. Quella di un gruppo che l’anno dopo dominerà il campionato di serie B. Ecco perchè io, in fondo, quel derby, perso in casa per 4 a 0 lo ricordo, paradossalmente, con piacere.