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71) Bari – Parma, 4 aprile 2009 – U Bàr iè fort (?)

23 Mag

Il calcio mi ha sempre confuso le idee. Forse è per questo che lo odio profondamente, a tal punto da amarlo alla follia. Ho letto Nick Hornby e sono rimasto folgorato da un passaggio del suo “Febbre a 90°” quando dice che “Ci sono quei momenti in cui non sai se la vita è una merda perché l’Arsenal va da schifo o viceversa“. Ecco, ci sono momenti in cui mi vergogno di ammettere che per me è la stessa cosa. Il Bari va bene, vince, diverte, e la mia vita va alla grande. Il Bari perde colpi, arranca, retrocede e io inizio a riconsiderare delle cose, a metterle in discussione insomma. Poi arriva il bello però. Perché dopo una stagione negativa, c’è sempre la possibilità di un riscatto. E dopo una partita, ce n’è sempre un’altra, e anche se tutto sembra perduto, ecco che arriva la possibilità di una svolta.

Devo fare ammenda. Ho pensato in passato che, per il solo fatto di amarmi, una ragazza dovesse condividere una mia passione. Tanto da accompagnarmi, esultare con me, essere persino triste (con me e per me) a causa di una sconfitta. Ma questo non accade nemmeno nei romanzi (oddio, forse nei miei sì). Magari all’inizio c’è quella sorta di solidarietà interessata che ti porta a pensare “Ma sì, che vinca questo Bari, almeno anche lui è più felice“. Ma poi alla lunga quella è solo la tua squadra. E a chi importa se non gioca più come una volta, se perde, se diventa la barzelletta d’Italia per una brutta storia di scommesse ed autogol grotteschi? A chi importa? A lei no di certo. E mica puoi biasimarla, l’amore è una cosa seria, dicono, non una partita di calcio. 

Il 4 aprile del 2009 mi sembrava tutto perfetto. A poche settimane dal trionfo di Sassuolo l’ultimo vero ostacolo verso la serie A è il Parma di Guidolin. Una squadra costruita per ammazzare il campionato, stravincerlo e tornare subito nel massimo campionato. Ma in Emilia non hanno fatto i conti con la grinta di Antonio Conte. Il suo Bari, il mio Bari, gioca meglio, diverte, è frizzante e soprattutto ha fame. Come me. Nove anni di digiuno sono troppi, c’è una voglia immensa di tornare a far parlare di noi, di esultare, di abbracciarci. Prima contro seconda, finalmente rivedremo lo stadio pieno, penso. Non so quanti anni sono passati, ma sono sicuramente troppi. Non ho paura. Niente può andare male, ho la persona che amo a fianco, e muoio dalla voglia di farle vedere uno stadio vero.

Uno stadio che ribolle di passione. Altro che l’eccellenza, altro che la serie B che vedi da altre parti. Qui siamo al San Nicola, benvenuti. Ci sediamo in curva, fa caldo ma è un caldo piacevole, tutto sembra preciso, perfetto. Il calore del sole, la temperatura del vento, il colore del cielo. Un azzurro che dà fiducia. Neanche una nuvola, e lo capisci subito che quella sarà una giornata perfetta. Poi i ragazzi scendono in campo, ancora in tuta, per controllare le condizioni del terreno, e io mi giro a guardare il suo stupore. Ovazione. Calore. Andiamo ragazzi, mettiamoci alle spalle tutta sta merda che abbiamo passato. Qualcuno guarda la curva, qualcuno si fa una foto, Kutuzov strappa un pezzo d’erba e se lo mette nella tasca del marsupio. Poi baci, carezze, chiacchiere, telefonate “Mamma, qui è tutto bellissimo, c’è un sacco di gente, e se non mi senti è perché c’è troppo amore.

Prima della partita parte la sciarpata. Bari grande amore. Forse per la prima volta il San Nicola si unisce davvero intorno a quei ragazzi. Bari unica e sola. Qualcuno lo merita, qualcuno tradirà, ma in quel momento questo dubbio non c’è e un unico grande abbraccio li stringe. Bari nel nostro cuore, non ti lasceremo da sola. Conte rispolvera Lanzafame dopo qualche prova opaca e molta panchina. Dall’altra parte c’è Guberti, si gioca con il solito 4 – 2 – 4 ma Guidolin ha preso le misure. Forse per la prima volta il gioco del Bari non si vede. Quella vecchia volpe di Guidolin ha imbrigliato il giovane e rampante allenatore avversario. Fasce bloccate e tanti saluti. Il Mister prende nota. Imparerà, in futuro, a trovare alternative in situazioni come queste. Ma quel giorno alternative non ce ne sono, c’è solo l’illusione di poterla vincere lo stesso questa partita. Il pubblico, la passione, il calore, come si fa a perdere?

E poi capita, perché in fondo puoi perdere anche se ci metti tutto l’amore del mondo e non è un caso che il gol del Parma porti la firma di Vantaggiato. Lui che già ci aveva punito a Rimini qualche mese prima, quando indossava un’altra maglia e quando nonostante il freddo, il vento che veniva dall’Adriatico, e la pioggia, si saltava e si ballava in una gradinata vecchia e instabile. Quando si iniziava a pensare che forse, ma forse, quello poteva essere l’anno. Vantaggiato scarica tutta la rabbia in rete, corre verso la sua curva, esulta, si toglie un altro sassolino dalla scarpa e lo scaglia contro una tifoseria che mai l’ha capito. Il tempo di un affondo, di una risposta, di un tiro di De Vezze da fuori sventato da Pavarini, e il Parma rimette il naso fuori e con Paloschi, di testa, raddoppia. La gente incomincia a guardarsi attorno e a pensare che in quella giornata così bella non è poi così tutto perfetto. Magari è colpa di quelli che fino alla settimana prima sono stati a casa e adesso “Eccoli i tirapiedi che sono venuti apposta per portare sfortuna alla Bari! L’muert de l’tirapid“.

Il Bari non c’è, si vede, la partita resta sui canali che Guidolin ha stabilito. Pochi rischi, molti contropiedi, e zero spettacolo. Il secondo tempo serve solo ad accrescere le nostre insicurezze. Stanno dietro di noi ma sono molto più forti, pensiamo ad amministrare il vantaggio nelle prossime giornate. Mentre qualcuno inizia a pensare alla serie A che può sfuggire arriva la più bella delle notizie. Al novantesimo. Il Vicenza, su rigore, pareggia a Livorno. La terza in classifica rimane a debita distanza. Io mi giro, guardo ancora la faccia della persona che amo e mi illudo che in fondo sì, è tutto perfetto. La prossima la giochiamo ad Ancona, a pochi kilometri dalla mia nuova casa, e ricominciamo a vincere. Il sole splende, il cielo è ancora terso, e niente può compromettere la mia felicità. Perché il Bari è ancora primo. E io sono innamorato. Così tanto da illudermi che quella serenità e quella gioia venga da una stupida partita, da una meravigliosa cavalcata, da un campionato che non scorderà mai. O forse era davvero così.

Prossima partita: Bari – Lanciano, 13 aprile 2013 

La curva nord in Bari - Parma

La curva nord in Bari – Parma

59) Bari – Frosinone, 31 gennaio 2009 – U Bàr iè fort (?)

15 Nov

Un San Nicola pieno sarà obiettivo di fine stagione, quando la primavera, i primi caldi e una squadra ormai riconosciuta come favorita della serie cadetta ritornerà a scaldare i cuori di tifosi delusi da troppi anni di anonimato. Un San Nicola colorato da 17 mila tifosi è il grande successo di Antonio Conte. Io non ho mai avuto dubbi su di lui. Sapevo che avrebbe riportato entusiasmo e passione ad una piazza derelitta. Il 31 gennaio del 2009 si gioca la seconda giornata di ritorno. Il Bari viene da una vittoria fondamentale a Trieste. La doppietta di Barreto ha fatto capire, in maniera inequivocabile, qual è l’obiettivo della squadra. Conte non può più nascondersi. La sua espressione preferita Ci sono almeno 6-7 squadre più attrezzate di noi inizia a non essere più credibile, quanto meno sa fortemente di scaramanzia. Per merito suo ovviamente. Ha forgiato una squadra cocciuta come il suo carattere. Con una mentalità vincente, e che difficilmente potrà tirarsi indietro. Ma a Bari, di delusioni, ne abbiamo assorbite fin troppe. E così la partita con il Frosinone assume la valenza di uno scontro chiave per capire se davvero, da adesso in poi, si fa sul serio. E lo vedi sulla faccia di Conte e dei suoi giocatori. La percepisci questa tensione. La squadra che fino alla settimana prima ha giocato con la spensieratezza di chi non ha nulla da perdere, di chi deve semplicemente (si fa per dire) far sì che la propria gente si riavvicini a quel meraviglioso giocattolo chiamato Bari, dando spettacolo ed emozioni ma evitando di guardare la classifica, adesso ha un compito ben preciso: ritornare in serie A. Sarebbe un peccato sprecare la vena realizzativa di Barreto, la solidità di una difesa che inizia a scoprire un ragazzo interessante come Ranocchia, la mobilità di un centrocampo che ha in De Vezze un uomo di grande solidità e nelle ali (al termine di questa partita arriverà anche Guberti dall’Ascoli) i ricambi giusti per volare. L’entusiasmo della gente è alimentato dal ritorno in Puglia del figliol prodigo Davide Lanzafame, da Palermo. Il Cristiano Ronaldo di Conte deve ancora sbloccarsi ma gode della stima del Mister e di un affetto smisurato da parte della gente. La sua carriera dirà che questa due peculiarità, per un giocatore come lui, sono poco più che fondamentali. Decido di tornare a Bari perchè questa partita ha bisogno della mia presenza. Un momento di svolta ha sempre bisogno della mia presenza. A volte mi illudo di essere utile alla causa in questa maniera. Il bello del calcio. Pioviggina e fa freddo, ma mai come la settimana prima a Trieste, quando la bora poteva tagliarti in due la faccia. Mi consolo pensando che nel giro di due mesi, nella mia città, sarà primavera e io potrò fare i primi bagni al mare. Sorrido sperando che forse per quel giorno lo stadio sarà pieno. Che i tifosi occasionali torneranno a sventolare le bandiere e i bar della città si riempiranno di gente con le sciarpe biancorosse al collo, ragazzi e ragazze che prendono una caffè e parlano delle scelte di Conte prima di andare allo stadio. Ma adesso è ancora tempo di Angor dret un Bàr vè?, anche se la frase inizia ad essere più smussata, quasi sottovoce. La mia città è piena di gente che gode nel vedere la Bari affondare, chissà perchè. O meglio, un motivo c’è e magari hanno ragione loro. I ragazzi in maglia gialloblu si difendono bene. Sembrano una squadra ben organizzata e già dai primi minuti di gioco si capisce che non sarà una partita facile per il Bari. Conte urla come se non ci fosse un domani, come se questa sia la partita decisiva e la serie A passi esclusivamente da qui. Si fa fatica a definire bella la mia squadra. Ma arrembante, cocciuta, testarda e vogliosa sì, e tanto basta per divertirsi. Lanzafame è in palla, si vede subito. A Palermo aspettano di ricevere il dvd della sua partita. Il primo tempo è tutto suo. Sguscia, si propone, attacca, mette in mezzo palloni d’oro che Barreto e Caputo non sfruttano per sfortuna o per mancanza di precisione. Al 30′ Barreto viene steso in aerea da Scarlato. Per l’arbitro è simulazione. Gli animi si accendono, Conte è una furia, ma è in trans agonistica. Un minuto più tardi l’ottimo Donda mette al centro per Caputo che a due metri dalla linea di porta spara alto. Qualche giornalino inizia a volare verso il campo. Mannaggia, sta partita non si sblocca. A qualche secondo dalla fine del primo tempo Eder si invola verso la nostra area. Bianco, senza tanti complimenti, lo butta giù ma l’arbitro sorvola e fischia la fine. Le panchine vengono quasi alle mani, la tensione si taglia davvero con un coltello. Il gelo cala davvero sul San Nicola quando al 5′ del secondo tempo Cariello crossa morbido verso il centro dell’area dove spunta le testa pelata di Simone Cavalli, un ex con il dente abbastanza avvelenato eni confronti di Conte reo di averlo accantonato qualche settimana prima, che insacca alle spalle dell’incolpevole Gillet. Cavalli non reprime la sua gioia, lo stadio ammutolisce ma non fischia. Resta il rispetto e la gratitudine per uno degli eroi del Via del Mare. Fatto sta che il Bari si ritrova sotto risvegliato bruscamente da un bel sogno. Come quando suona la sveglia e fuori è ancora buio. Passano due minuti. Barreto, al vertice dell’area di rigore, lavora un pallone con una frenata degna del miglior Milito. Frenata che manda Scarlato col culo per terra. Rasoterra verso il centro dove irrompe Lanzafame che indovina l’angolo alla destra del portiere. Uno a Uno. Lo stadio viene giù, lui corre all’impazzata da un’area all’altra per arrivare sotto la Nord a dire Eccomi sono tornato. Eccoci, siamo tornati sembra rispondere in coro tutto lo stadio. Adesso non ci ferma più nessuno davvero. Stiamo uniti, prendiamocela questa partita. Stavolta non possono risvegliarci dal sogno. Conte lo sa. Si lascia andare ad un’esultanza sopra le righe. Lanza l’ha rivoluto lui, convinto di rigenerarlo. Sempre Davide mette un pallone al centro, Caputo deve solo spedirlo in rete di testa ma mette a lato. E quando ci ricapita di avere tutte queste occasioni? Un’altra capita un minuto più tardi sui piedi di Barreto che calcia fuori. Ad un quarto d’ora dalla fine Conte inserisce Kamatà e Kutuzov che fa il suo esordio con la maglia del Bari. Quattro punte per l’assedio finale. Mancano 9 minuti. Forse il pareggio ci può stare. Parisi con un lancio lungo pesca Caputo al limite dell’area di rigore. Un famoso telecronista direbbe che ha il problema di girarsi. Ciccio lo fa in un fazzoletto tentando una conclusione che definire velleitaria e avventurosa sarebbe un eufemismo. Però ci mette tutta la voglia di chi vuole fortemente far ricredere lo stadio. Il suo tiro viene deviato e si alza a campanile. Ne seguiamo la triettoria con lo sguardo attonito più che speranzoso. Frattali, portiere del Frosinone, intuisce che quella conclusione può davvero diventare letale. Fa un passo indietro. Poi due. Poi si tuffa ma a quel punto è troppo tardi. La traiettoria a voragine del pallone lo risucchia inesorabilmente verso la rete dove il pallone della vita finisce per insaccarsi. Due a uno. Lo stadio esplode in un boato che questa volta sa di serie A. Un boato diverso da quello sentito negli ultimi anni. Un boato consapevole, passionale, pieno di ricordi e frustrazione da scacciare via. Ciccio corre, ha in testa un’idea malsana. Lo faccio, il momento è arrivato. A Bari quel gesto è sacro. Si può fare solo in determinati momenti, quando le cose vanno bene e scomodare gli dei come Igor e Sandro non crea malumore. Si inginocchia sull’erba bagnata e il trenino può partire. E allora li vedi quei ragazzi che dieci anni prima erano bambini e guardavano quel trenino in tv, a Pressing o alla Domenica Sportiva e magari lo mettevano in scena in un cortile sognando, un giorno, di rivivere quella scena in un stadio vero. Bambini di Palermo, di Mantova, di Genova, di Rio, di Bergamo, che un pomeriggio di gennaio si ritrovano quasi per caso nello stadio dove tutto è cominciato a rivivere sulla loro pelle quella scena. Una scena che sa di gloria, in uno stadio che sa di serie A. 

ps: nel trenino della foto c’è Andrea Masiello, giocatore e persona non degna di questa rubrica. Bene ribadire la mia posizione. Ecco cosa hai buttato al vento Andrea, ricordi quanto eri fortunato?

53) Bari – Lecce, 22 dicembre 2007 – U Bàr iè fort

20 Set

Quante volte vi siete fatti raccontare un derby? Magari dai vostri genitori, dai vostri nonni, da qualche amico coraggioso che prima di altri ha affrontato una trasferta. Beh, i derby non sono tutti uguali. Bari è il capoluogo della Puglia, snodo del meridione, la città più grande e più esposta ai venti del Levante. Inevitabile che tutti, intorno a noi, ci odino. Lo fanno i foggiani, con i quali ci siamo divertiti durante gli anni ’90 in derby di serie A di altissimo livello. Ci odiano i tarantini, con i quali abbiamo condiviso soprattutto i derby degli anni ’80, resi ancora più accesi dal “tradimento” di Pietro Maiellaro, da Idolo dello Jacovone a fromboliere del Bari. Ma il derby con il Lecce, vuoi per il numero di partecipazioni alla serie A, vuoi per il carattere dei salentini, totalmente opposto al nostro, è sempre stato il più sentito. Si dice che Lecce è maniera, Bari è mestiere. Beh, si potrebbe continuare all’infinito. Lecce è barocca, Bari è romanica. Lecce è decantazione, attesa, pensiero. Bari è fretta, lavoro, azione. Lecce è arte, Bari è negozio. E così via. Salento is not Puglia, diranno gli stessi leccesi qualche anno più tardi rispetto alla storia che mi appresto a raccontare. E sì, perchè non tutte le storie sono a lieto fine, almeno per me. E poi, anche quando le cose vanno male (in questo caso molto male) c’è sempre una lezione da imparare, da prendere e portare a casa, da custodire gelosamente come il ricordo di questa partita. Avevo detto che non avrei parlato solo di successi e trionfi. Non riuscirei a riempire una rubrica di 100 partite. E poi chi l’ha detto che dietro una sconfitta non si nasconda il segreto di una rinascita? Toccare il fondo per risalire, prima a fatica, poi di scatto, con orgoglio e convinzione, quella che mancava da tempo a Bari. Otto anni per la precisione. E allora partirò dal fondo, quello che abbiamo toccato il 22 dicembre del 2007. Una giornata che farò fatica a dimenticare. Vivo fuori e torno a Bari per le festività natalizie. Anticipo di qualche giorno per potermi godere il derby con il Lecce. Loro vanno forte, la squadra è costruita per tornare in A e Papadopulo è garanzia di concretezza. Il Bari arranca. Però in casa abbiamo sempre detto la nostra. Insomma i presupposti per lo sgambetto al Lecce ci sono comunque, nonostante Materazzi scelga una squadra prudente, forse troppo. Insomma, torno a Bari, dicevo. La mia ex ragazza dice che non vuole tornare con me 24 ore prima e avrei dovuto percepirli subito i contorni della tragedia. Chiedo ai miei amici se vogliono venire allo stadio con me e ottengo la risposta dei giorni peggiori “Angor dret o’Bàr vè?“. Incasso e mi metto in macchina. Parcheggio nel mio posto portafortuna e mi sobbarco inutili chilometri scaramantici a piedi. Avrei potuto parcheggiare sotto la tribuna est e nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Mi imbatto in un paio di macchine di tifosi leccesi. Un tipo lancia una bottiglietta di birra per farmi spaventare. Ma non ci riesce. Guardo la classifica, quella sì che mi spaventa. A ridosso della zona retrocessione e con una squadra di merda. Che il dio del pallone ce la mandi buona. I derby sono belli quando sono ad armi pari. Disperati contro disperati, rivelazioni contro rivelazioni, e così via. Questo non lo è. Non lo è sul campo, dove Tiribocchi e Abbruscato sembrano di un’altra categoria. Non lo è sugli spalti dove nonostante la curva barese tenti di sembrare compatta e coraggiosa è comunque sconfortata dalla presenza dei Ladino e dei Rajcic del caso. E Santoruvo e Cavalli non sono in giornata, e si vede subito. Eppure la partita è stranamente equilibrata, con il Lecce che attacca e il Bari che arretra, ma pur sempre equilibrata. Qualche fiammata, alcuni contropiedi e quella sensazione che possa finire anche 0 a 0 questo derby dimenticabile. Invece al’improvviso la partita diventa indimenticabile. Un incubo. Che si materializza quando Angelo scappa sulla fascia destra e crossa al centro per Abbruscato che allunga verso Ariatti. Nuovo cross e questa volta colpo di testa e rete del vantaggio leccese. Incasso, con filosofia. Michele Emiliano, sindaco di Bari, qualche fila sotto di me, allarga le braccia. Abbiamo tempo per rimediare, sembra essere il suo pensiero. A Lecce è già Natale invece. E che sia la giornata sbagliata lo si capisce definitivamente un minuto più tardi quando Donda batte una punizione e Stellini colpisce di testa mandando le speranze di chiudere il primo tempo sull’1 a 1 direttamente sulla traversa. Il tempo di mettersi le mani tra i capelli. Poi c’è Rosati, il portiere, che rinvia direttamente sul sinistro di Tiribocchi che colpisce al volo da fuori area e manda in delirio la curva Sud e negli inferi il resto dello stadio. L’intervallo serve solo a guardarsi in faccia, tra di noi, e chiederci chi ce l’ha fatto fare. Le squadre tornano in campo e il copione peggiora. Passa un quarto d’ora. Tiraccio da fuori area di Ariatti, stinco di Abbruscato e rete dello 0 a 3. Qualcuno inizia ad abbandonare lo stadio, qualcun altro a irridere la propria squadra che, per inciso, non fa nulla per non farsi irridere. Materazzi fa pensieri amari, in tribuna si fanno già i nomi dei sostituti. Nessuno fa il nome che faccio io, anzi qualcuno mi prende per il culo “Sì, ci manca quel fallito. Pure retrocesso, con l’Arezzo. No, no… leccesi non ne vogliamo“. Decido che è inutile spiegare che con l’Arezzo non è retrocesso lui ma Sarri che l’ha sostituito per 8 partite perdendone 7 e che lui aveva fatto un rimonta eccezionale e che per poco non si salvava. Decido che è inutile perchè tanto chiameranno lo Sciannimanico di turno. Il tempo di rimettere gli occhi su quel prato verde e vedo Tiribocchi involarsi ancora, scambiare con Tulli e irridere lo stadio San Nicola per la quarta volta. Adesso sì, la curva si svuota davvero. Resto seduto in tribuna a guardare il via vai generale. No, non mi hanno insegnato questo. Si resta a soffrire fino al fischio finale. Non mi piace chi abbandona la nave che affonda. E questa affonda davvero, stavolta definitivamente. Finisce con i giallorossi in delirio. Di biancorosso, nello stadio, è rimasta solo la mia sciarpa. Torno a casa sconsolato. Ci pensa mia madre a darmi la mazzata finale “Potevi stare quà, ancora con questo Bari“. Apprendo qualche ora più tardi che Materazzi ha dato le dimissioni. Al suo posto una scommessa: Antonio Conte. Ecco come, a volte, solo toccando il fondo può iniziare una nuova storia. Quella di Checco Zalone che dice “Nei momenti tragici, nelle asperità…“, quella di una squadra che pian piano reagisce, si rialza. Una squadra che al ritorno, senza obiettivi di classifica, andrà a vincere a Lecce. Quella di un gruppo che l’anno dopo dominerà il campionato di serie B. Ecco perchè io, in fondo, quel derby, perso in casa per 4 a 0 lo ricordo, paradossalmente, con piacere.

 

52) Bari – Torino, 16 settembre 1990 – U Bàr iè fort

10 Set

C’è stato un tempo in cui Vincenzo Matarrese si era messo in testa di conquistare l’Europa. Un po’ per megalomania e smanie personali, un po’ perchè Renzo Piano gli aveva consegnato le chiavi di uno stadio che avrebbe avuto un senso compiuto soltanto diventando scenario di coppe europee e partite in notturna, come la finale terzo e quarto posto dei Mondiali di calcio. Il ricordo di quella sera è ancora vivo. Goigoichea che para il rigore di Aldo Serena (dopo aver respinto quello di Donadoni) e corre a braccia splancate verso Maradona che gli salta addosso. I giocatori dell’Italia in ginocchio. Io, bambino, che scoppio in lacrime. L’Italia che resta in silenzio per una notte intera. Niente finale a Roma, solo una misera finalina a Bari, per la gioia di Antonio Matarrese. Suo fratello ci prova ad allestire una squadra che “possa entrare in Europa dalla porta principale“. Trattiene Maiellaro, Di Gennaro e soprattutto Joao Paulo. E compra uno dei migliori giovani talenti in circolazione: il rumeno Florin Raduciou, strappato al Pisa, al Bologna e all’Anderlecht con metodi ortodossi e non. La prima giornata vede però il Bari soccombere in casa dell’Atalanta. Caniggia ed Evair sistemano la pratica in venti minuti. Qualcuno già mugugna. Maiellaro è rimasto controvoglia, il rumeno è un ragazzino, il portiere è poco affidabile. Già, il portiere. Perchè Salvemini congeda l’affidabile Mannini per consegnare la porta ad un suo vecchio pupillo, Giulio Drago, già portiere dell’Empoli. L’investimento si rivela tutt’altro che azzeccato. Un precampionato imbarazzante e una papera a Bergamo non fanno presagire nulla di buono. Il 16 settembre del 1990 il Bari gioca la sua prima storica partita di campionato al San Nicola. E forse, proprio il Santo, si mette una mano sul cuore. L’avversario è il Torino di Emiliano Mondonico. Una squadra giovane e spumeggiante che punta tutto sul talento cristallino di Gianluigi Lentini e sulla classe di Martin Vasquez. In avanti il discontinuo Muller, rigenerato da Fascetti nelle due stagioni precedenti. Gli spalti si riempiono già mezz’ora prima dell’incontro. La curiosità è tanta, la voglia di riempire l’astronave anche. Giulio Drago però impiega 10 minuti a mettere il match in salita. Con un’uscita scellerata consegna il pallone sui piedi di Muller, che in semirovesciata insacca. Uno a zero per il Toro e San Nicola che piomba nel silenzio. Mio padre mi fa segno che è tutto a posto, che abbiamo tutto il tempo. Ma il Bari sbanda, paurosamente, e io nonostante i miei 11 anni non sono mica scemo. Mettici anche che Maiellaro, il giocatore più fantasioso, si fa male e deve lasciare il campo subito dopo. Entra Scarafoni e Joao si mette a fare il rifinitore. La difesa (nella quale esordisce il giovanissimo Lorenzo Amoruso) fa acqua. Lentini prima e Muller poi si ritrovano soli davanti al portiere. Quest’ultimo salta anche Drago in uscita, poi spreca calciando incredibilmente sul palo. Mondonico si mette le mani nei capelli. Se avesse avuto una sedia l’avrebbe alzata. Lo farà qualche anno più tardi, in una finale di Coppa Uefa incredibilmente scippata al suo Toro. Il Bari ringrazia, comunque. E al 30′ l’assopito Joao si ricorda di essere brasiliano. Filtrante per il ragazzino venuto dall’est che di prima intenzione calcia di sinistro e trova l’angolo lontano alla sinistra di Marchegiani. Eccolo, il primo gol al San Nicola. Il primo di una lunga serie. Quello che nei miei sogni di bambino doveva essere solo l’inizio di una storia che avrebbe dovuto portare il Bari in Europa. Forse è per questo che festeggio più animatamente del solito. Durante i Mondiali avevo visto, a Bari, Romania – URSS, e mi ero innamorato di Lacatus. Ma anche questo ragazzino riccio e biondo ci sapeva fare con i piedi. Veloce e spumeggiante. Un po’ sprecone. Ma questo particolare all’epoca non mi sembrava cosa di particolare conto. Ignoravo il fatto che la Gialappa’s fosse già sulle sue tracce da tempo. Secondo tempo: il Toro riprende da dove aveva finito. A prenderci a pallonate. Policano colpisce la traversa su punizione. Skoro, entrato al posto di Muller, inciampa due volte sul pallone e meno male. Il Bari non c’è, e a nulla servono i cambi di Salvemini. Solo Laureri, entrato al posto dell’evanescente Colombo, sembra dare più corsa al centrocampo. Ma la vittoria può arrivare solo per miracolo. Miracolo che si concretizza al 90′, quando lo sciagurato Carillo, appena pressato da Di Gennaro, colpisce il pallone di mano, costringendo l’arbitro a concedere il rigore. La sportività di mio padre è disarmante: “Speriamo che lo sbaglia, non la meritiamo ‘sta vittoria“. Ma io non la penso come lui. Joao Paulo trasforma e io esulto con gioia ma con un pizzico di moderazione, per non deluderlo. Matarrese dirà che la vittoria è venuta per merito del fratello vescovo “Ogni tanto qualche aiuto dall’alto ci deve arrivare, mio fratello è vescovo“. Salvemini ammetterà di aver avuto molta fortuna. Mondonico la prenderà con filosofia e Janich, direttore sportivo, si renderà conto di dover cercare un nuovo portiere. Arriverà Biato al posto di Drago ma la squadra non entrerà in Europa. Sarà Joao, alla penultima giornata, a salvarla dalla retrocessione, mettendo a sedere due volte Baresi. Ma questa è un’altra storia.

ps: nonostante la Gialappa’s io mi innamorai di Radu. Il Bari lo cedette dopo un solo anno ma il ragazzo si prese delle soddisfazioni, arrivando anche a giocare nel Milan. E nel Mondiale del 1994 fu uno dei migliori, trascinando la sua Romania ai quarti di finale (eliminata solo ai rigori dalla Svezia del futuro barese Kenneth Anderson).

47) Bari – Empoli, 4 maggio 2009 – U Bàr iè fort (?)

6 Lug

Ho preso un giorno di ferie. Lo ammetto, e me ne fotto. Troppo importante esserci, non voglio mancare per nessun motivo al mondo. Si gioca di lunedì per esigenze televisive. Le chiamano così. Le uniche esigenze che non contano mai un cazzo sono quelle dei tifosi. Loro invece si permettono anche di chiamarle così. Contingenze ci sarebbe stato meglio, molto meglio. E comunque, sono qui a girare per le vie della mia città. Me la voglio godere tutta questa giornata, anzi, questo lungo fine settimana. Non dipendiamo da nessuno. Se vinciamo è fatta, si va in serie A. Corso Càvur è un tripudio di bancarelle. Sciarpe, bandiere, magliette. Quella di Barreto, di Guberti, di Lanzafame, di capitan Gillet. Da quanto tempo, penso. Respiro. Sono emozionato. L’ultima promozione che ho vissuto è stata quella del ’97 e adesso sì, è passato un po’ tempo. Allora c’era mio padre, vivevo a Bari, andavo a scuola, aveva molti sogni e pochi pensieri e quel pomeriggio di maggio in cui giocammo contro il Castel di Sangro me lo ricordo ancora. Lo stadio pieno, il caldo, i colori, la rete di Ventola dopo pochi secondi. Mi sveglio presto e inizio a prepararmi, come se dovessi scendere io in campo. Sui balconi ci sono le bandiere, per le strade si respirano il bianco e il rosso. Sembra strano pensare che qui, qualche anno fa, qugli stessi colori fossero spariti. Dove era finita tutta questa gente? E le sciarpe? E tu c’eri a Bari – Cittadella (Tu stiv a Bar – Cittadell). Io no, ma un sacco di altre volte c’ero, ve lo giuro. Qualcuno va a lavorare con la sciarpa, altri si affrettano per comprare gli ultimi tagliandi rimasti. Quelli che servono ad assicurarsi un posto nello stadio, per poter dire “C’ero anche io, quando siamo tornati in serie A“. E’ il 4 maggio del 2009, e il Bari gioca contro l’Empoli. I toscani hanno poco da chiedere al campionato. Possono ancora inserirsi nel giro dei play off ma la squadra di Baldini non sembra avere la giusta fame per farlo. Nessuno si aspetta di vincere a mani basse, è chiaro, ma se il Bari fa il Bari la partita sarà una formalità. Si gioca alle 20.45 ma dalle 17 la città si concentra sull’unico pensiero della giornata. Riprendersi il palcoscenico che le spetta. Ci muoviamo presto. Non voglio aspettare troppo e poi questa serata me la voglio godere dall’inizio alla fine. Indosso la maglia di Pedone, quella vintage del ’94, metto la sciarpa e prendo la macchina portafortuna. Quella che adesso guida mia madre e che un tempo, alla fine degli anni ’90 era stata mia. Mancano 4 ore ma è come se la partita dovesse iniziare tra dieci minuti. Bari ha il fascino dell’esagerazione, e questa coda lo dimostra. Parcheggiamo e ci avviamo verso la curva nord. Quando entriamo nello stadio scopriamo che tre – quarti di curva è già piena. Ci sediamo, salutiamo qualche amico e molti occasionali, scattiamo delle foto con facce sorridenti, ridanciane. Da passaporto. Finiranno su Facebook, in un album che non dimenticheremo mai. Tra gli striscioni ce ne sono tanti dedicati ad Antonio Conte. Toglietemi tutto, ma non il mio mister. Speriamo non vada via, penso. Lui è l’artefice di questo squadrone. Il tempo passa in fretta, la sera cala, lo stadio si riempie ogni minuto di più. Verso le 19.30 la squadra, in tuta, fa il primo giro di campo. Ad attenderli c’è un’ovazione. Di quelle che molti di loro non hanno sentito mai. Di quelle che molti di loro, dio ce ne scampi e liberi, non sentiranno mai più. Quasi cinquantamila persone in piedi ad applaudire, a scandire quei nomi ad uno ad uno. A cantare, a caricare quei ragazzi. Li vedo sorridere. Sanno di essere nel posto giusto e sono sicuro che molti di loro, questa sera vorrebbero essere esattamente dove sono, sul prato del San Nicola. Alle 20.30 parte Bari grande amore. Le sciarpe si levano al cielo, la gente canta, molti registrano un video che finirà su youtube. Baari nel nooostro cuoreee, non ti lasceremo da sooolaaa. Mai. Mi vengono i brividi. Cosa ci siamo persi per tutti questi anni? E perchè? E cosa ci aspetta? Ci consegnano dei fogli bianchi, per la coreografia. Dalla curva non le puoi vedere ma quando partono gli applausi del resto dello stadio capisci che è venuta bene. Ci sono i nostri colori, quelli dell’Italia e una bella scritta Bari, in mezzo. Lo stadio a spicchi rende le coreografie meravigliose. E comunque è una serata bellissima. La festa, il clima, la temperatura, la luna. Tutto è perfetto. E Lorena non c’è, e mi spiace molto. Vorrei tanto che fosse qui con me. Manca solo lei. Mi scappa la pipì. E mi accorgo che manca poco all’inizio della partita. Ma non posso aspettare, avete presente quando vi prende un’emozione fortissima e sapete di non potervi più controllare? Alzo lo sgaurdo, le vie di uscita sono completamente bloccate. La gente è seduta ovunque. Sui gradini, davanti all’entrata, praticamente la sola idea di provare ad andare in bagno è una follia. Sono rassegnato a farmela addosso. Ma devo godermela questa partita, mica posso stare tutto il primo tempo ad aspettatare che l’arbitro fischi la fine per poter andare al bagno. Con uno scatto mi alzo e inizio a camminare sospeso tra i gradoni e le persone. Conquista l’uscita a fatica e quando torno la partita è già iniziata. Da un minuto circa. Il Bari gioca bene e corre, come sempre. L’Empoli non regala nulla, è venuto a giocarsi la partita. Gillet deve fare un gran parata su Vinci, proprio sotto la nostra curva. Anche un tiro di Buscè, qualche minuto dopo, lambisce il palo alla destra del capitano. Al 42′ però in contropiede Guberti serve il liberissimo Barreto che dribbla Bassi e fa esplodere il San Nicola. Che non vede però il guardalinee con la bandierina alzata. Rete annullata e urlo che resta in gola. Barreto esulta, si leva la maglia ma la rete non è valida anche se il fuorigioco non c’è. Si va a riposo con un’altra coreografia. Meglio abbondare, chissà quando ci ricapita. Conte fa qualche cambio ma la sostanza resta la stessa. Il Bari ci prova, ma L’Empoli non concede molto. I minuti passano e Barreto viene steso in area. Simulazione. E questa volta ci sta tutta. Qualche minuto dopo invece è Lanzafame a volare in area e questa volta il rigore sembrerebbe esserci. Ma l’arbitro dice di continuare e io inizio a pensare che tornerò nelle Marche con le pive nel sacco. Ma all’ultimo minuto il portiere dell’Empoli sbaglia l’uscita. Ranocchia si avventa sul pallone e lo colpisce di testa. Il pallone rotola lentamente verso la rete. Lo stadio è pronto ad esplodere quando Marzoratti, non si sa come, incrocia fortunosamente il pallone sulla linea di porta e lo manda in angolo. Imprecazioni varie. Delusione, qualche bestemmia. La partita finisce. Il Bari non riesce a vincere e resta in B, per un’altra settimana almeno. La festa è solo rimandata ma la delusione è forte. Molti, come me, sono venuti a Bari apposta per festeggiare e invece questa notte dovranno andare a dormire presto. Avrei passato volentieri la nottata in giro per Bari a festeggiare. Vado a fare una pizza con i miei amici di sempre. Nel silenzio di una città che deve ancora aspettare per urlare di gioia. La gioia effimera, ma sempre piacevole, che ti da il pallone. Facciamo un piccolo brindisi. Alla serie A. Ormai è fatta, ma non diciamolo troppo forte.

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