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71) Bari – Parma, 4 aprile 2009 – U Bàr iè fort (?)

23 Mag

Il calcio mi ha sempre confuso le idee. Forse è per questo che lo odio profondamente, a tal punto da amarlo alla follia. Ho letto Nick Hornby e sono rimasto folgorato da un passaggio del suo “Febbre a 90°” quando dice che “Ci sono quei momenti in cui non sai se la vita è una merda perché l’Arsenal va da schifo o viceversa“. Ecco, ci sono momenti in cui mi vergogno di ammettere che per me è la stessa cosa. Il Bari va bene, vince, diverte, e la mia vita va alla grande. Il Bari perde colpi, arranca, retrocede e io inizio a riconsiderare delle cose, a metterle in discussione insomma. Poi arriva il bello però. Perché dopo una stagione negativa, c’è sempre la possibilità di un riscatto. E dopo una partita, ce n’è sempre un’altra, e anche se tutto sembra perduto, ecco che arriva la possibilità di una svolta.

Devo fare ammenda. Ho pensato in passato che, per il solo fatto di amarmi, una ragazza dovesse condividere una mia passione. Tanto da accompagnarmi, esultare con me, essere persino triste (con me e per me) a causa di una sconfitta. Ma questo non accade nemmeno nei romanzi (oddio, forse nei miei sì). Magari all’inizio c’è quella sorta di solidarietà interessata che ti porta a pensare “Ma sì, che vinca questo Bari, almeno anche lui è più felice“. Ma poi alla lunga quella è solo la tua squadra. E a chi importa se non gioca più come una volta, se perde, se diventa la barzelletta d’Italia per una brutta storia di scommesse ed autogol grotteschi? A chi importa? A lei no di certo. E mica puoi biasimarla, l’amore è una cosa seria, dicono, non una partita di calcio. 

Il 4 aprile del 2009 mi sembrava tutto perfetto. A poche settimane dal trionfo di Sassuolo l’ultimo vero ostacolo verso la serie A è il Parma di Guidolin. Una squadra costruita per ammazzare il campionato, stravincerlo e tornare subito nel massimo campionato. Ma in Emilia non hanno fatto i conti con la grinta di Antonio Conte. Il suo Bari, il mio Bari, gioca meglio, diverte, è frizzante e soprattutto ha fame. Come me. Nove anni di digiuno sono troppi, c’è una voglia immensa di tornare a far parlare di noi, di esultare, di abbracciarci. Prima contro seconda, finalmente rivedremo lo stadio pieno, penso. Non so quanti anni sono passati, ma sono sicuramente troppi. Non ho paura. Niente può andare male, ho la persona che amo a fianco, e muoio dalla voglia di farle vedere uno stadio vero.

Uno stadio che ribolle di passione. Altro che l’eccellenza, altro che la serie B che vedi da altre parti. Qui siamo al San Nicola, benvenuti. Ci sediamo in curva, fa caldo ma è un caldo piacevole, tutto sembra preciso, perfetto. Il calore del sole, la temperatura del vento, il colore del cielo. Un azzurro che dà fiducia. Neanche una nuvola, e lo capisci subito che quella sarà una giornata perfetta. Poi i ragazzi scendono in campo, ancora in tuta, per controllare le condizioni del terreno, e io mi giro a guardare il suo stupore. Ovazione. Calore. Andiamo ragazzi, mettiamoci alle spalle tutta sta merda che abbiamo passato. Qualcuno guarda la curva, qualcuno si fa una foto, Kutuzov strappa un pezzo d’erba e se lo mette nella tasca del marsupio. Poi baci, carezze, chiacchiere, telefonate “Mamma, qui è tutto bellissimo, c’è un sacco di gente, e se non mi senti è perché c’è troppo amore.

Prima della partita parte la sciarpata. Bari grande amore. Forse per la prima volta il San Nicola si unisce davvero intorno a quei ragazzi. Bari unica e sola. Qualcuno lo merita, qualcuno tradirà, ma in quel momento questo dubbio non c’è e un unico grande abbraccio li stringe. Bari nel nostro cuore, non ti lasceremo da sola. Conte rispolvera Lanzafame dopo qualche prova opaca e molta panchina. Dall’altra parte c’è Guberti, si gioca con il solito 4 – 2 – 4 ma Guidolin ha preso le misure. Forse per la prima volta il gioco del Bari non si vede. Quella vecchia volpe di Guidolin ha imbrigliato il giovane e rampante allenatore avversario. Fasce bloccate e tanti saluti. Il Mister prende nota. Imparerà, in futuro, a trovare alternative in situazioni come queste. Ma quel giorno alternative non ce ne sono, c’è solo l’illusione di poterla vincere lo stesso questa partita. Il pubblico, la passione, il calore, come si fa a perdere?

E poi capita, perché in fondo puoi perdere anche se ci metti tutto l’amore del mondo e non è un caso che il gol del Parma porti la firma di Vantaggiato. Lui che già ci aveva punito a Rimini qualche mese prima, quando indossava un’altra maglia e quando nonostante il freddo, il vento che veniva dall’Adriatico, e la pioggia, si saltava e si ballava in una gradinata vecchia e instabile. Quando si iniziava a pensare che forse, ma forse, quello poteva essere l’anno. Vantaggiato scarica tutta la rabbia in rete, corre verso la sua curva, esulta, si toglie un altro sassolino dalla scarpa e lo scaglia contro una tifoseria che mai l’ha capito. Il tempo di un affondo, di una risposta, di un tiro di De Vezze da fuori sventato da Pavarini, e il Parma rimette il naso fuori e con Paloschi, di testa, raddoppia. La gente incomincia a guardarsi attorno e a pensare che in quella giornata così bella non è poi così tutto perfetto. Magari è colpa di quelli che fino alla settimana prima sono stati a casa e adesso “Eccoli i tirapiedi che sono venuti apposta per portare sfortuna alla Bari! L’muert de l’tirapid“.

Il Bari non c’è, si vede, la partita resta sui canali che Guidolin ha stabilito. Pochi rischi, molti contropiedi, e zero spettacolo. Il secondo tempo serve solo ad accrescere le nostre insicurezze. Stanno dietro di noi ma sono molto più forti, pensiamo ad amministrare il vantaggio nelle prossime giornate. Mentre qualcuno inizia a pensare alla serie A che può sfuggire arriva la più bella delle notizie. Al novantesimo. Il Vicenza, su rigore, pareggia a Livorno. La terza in classifica rimane a debita distanza. Io mi giro, guardo ancora la faccia della persona che amo e mi illudo che in fondo sì, è tutto perfetto. La prossima la giochiamo ad Ancona, a pochi kilometri dalla mia nuova casa, e ricominciamo a vincere. Il sole splende, il cielo è ancora terso, e niente può compromettere la mia felicità. Perché il Bari è ancora primo. E io sono innamorato. Così tanto da illudermi che quella serenità e quella gioia venga da una stupida partita, da una meravigliosa cavalcata, da un campionato che non scorderà mai. O forse era davvero così.

Prossima partita: Bari – Lanciano, 13 aprile 2013 

La curva nord in Bari - Parma

La curva nord in Bari – Parma

La verità, vi prego, sul pallone #14

10 Dic

La notizia è che nella domenica in cui le grandi vincono tutte tranne una, il Napoli, quella che sta davanti, la Juve, aumenta il suo distacco dalla sua più immediata inseguitrice. Nella sfida tra seconde, o presunte tali, vince l’Inter. Il Napoli arriva a questa partita in maniera piuttosto indolente. E non è la prima volta. Ne avevamo parlato dopo la sconfitta di Torino e dopo il pareggio interno contro il Milan. Nel momento decisivo la squadra di Mazzarri si perde. Peccato. L’Inter a questo punto non può nascondersi. Ha battuto le prime due del campionato, ha trovato un Guarin formato grande squadra (a me piace molto anche quando tutti dicono che è lui la causa delle sconfitte) e soprattutto ha ritrovato Cassano. Con Fantantonio l’Inter è un’altra squadra. Che piaccia o no sono sue le invenzioni che spaccano la partita, che la mettono sul binario preferito di Stramaccioni. Dopo basta mettersi in ordine là dietro, con una buona difesa e tre mediani a coprirli. Certo si soffre, e l’Inter ha sofferto, ma alla fine sono tre punti che pesano tantissimo. In una domenica in cui, come già detto, rimettono il naso fuori tutte le grandi squadre. Il Milan prima di tutto. Non fosse stato per quell’inizio disastroso adesso staremmo parlando di altro. Allegri sembra aver rimesso a posto le cose. Capigliature (inguardabili) a parte il Milan è tornato ad essere una squadra di tutto rispetto. Bravo l’allenatore a non scomporsi, o peggio ancora deprimersi, e a tornare al vecchio modulo con un Nocerino troppo prezioso per essere accantonato come un De Rossi qualunque (mi sia concessa la battuta). Gongola Silvio Berlusconi che ormai è tornato alle vecchie abitudini. La discesa in campo, via elicottero, a Milanello, il venerdì pomeriggio è qualcosa di più di un gesto simbolico di un buon padre (o nonno) di famiglia. Questo Milan giovane, che taglia ingaggi pesanti, che predica l’austerity annunciando che Balotelli non è un acquisto sostenibile sarà, sono pronto a scommettere, lo spot elettorale del 2013. Ben diverso da quello di quasi 20 anni fa, quando per conquistare gli italiani la metafora sportiva preferita era quella del magnate che spende e spande acqustando campioni da ogni parte del mondo. I tempi cambiano. Ma i campioni restanto. Ne è la prova Totti, immenso nella bellissima partita tra Roma e Fiorentina, un piacevole spot per il calcio italiano. Un giocatore in formato Mondiale. Semplicemente superbo, illuminante, decisivo. La Roma sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Si parla molto dell’assenza di De Rossi e poco di Bradley. Anzi, non ne parla nessuno. Ma l’americano, negli schemi di Zeman, si è ritagliato un ruolo prezioso ed è lui, a mio parere a dare equlibrio (e quindi svolgere un ruolo delicatissimo) ad una squadra che tende a farsi prendere dal piacere leggittimo della giocata. La copertina quindi è sua. Ancche se nella vittoria della Roma ha un peso decisivo anche Viviano, portiere della Fiorentina. Tifosissimo della squadra in cui gioca, tanto da chiamare sua figlia Viola, rischia di trasformare il suo sogno in un incubo. A Firenze tifosi e stampa non sono leggeri con lui. Sabato mette lo zampino sul primo e sul terzo gol. E adesso gli errori iniziano ad essere troppi anche per un tifoso. Nemo profeta in patria. A Palermo torna in scena Antonio Conte. Scatenato come suo solito, danza e accompagna la squadra che si mangia l’impossibile rischiando di tornare dalla Sicila con un solo punto fino a quando, puntuale ma mai scontata, arriva la rete decisiva. La firma Liechsteiner, e non è un caso. Quando gli attaccanti sbagliano tutto alla Juve ci pensa spesso un esterno a timbrare il cartellino. Bentornato al Mister, comunque. Durante questi mesi in ghiacciaia ci ha fatto davvero tenerezza. La sua forza è stata quella di non far pesare minimamente la sua assenza. La classifica di serie A e la vittoria del girone in Champions League, in un gruppo tutt’altro che agevole, parlano chiaro. Al di là delle grandi segnalo una nuova sconfitta del Genoa (Del Neri al capolinea?), un altro gol di Paloschi e una nuova vittoria del Chievo in trasferta. Corini ha rivitalizzato una squadra che sembrava spenta, demotivata. E invece sarà ancora una volta un avversario molto ostico che probabilmente anche stavolta si salverà. Chiudiamo con una finestra sul calcio inglese. Oggi si è giocato il derby di Manchester. Spettacolare, con lo United in vantaggio per 2 a 0, poi ripreso dal City a 4 minuti dalla fine. Ci pensa Van Persie, al novantaduesimo, a colorare di rosso il cielo di Manchester. Una sconfitta che probabilmente peserà sul destino di Mancini che a dicembre è già fuori da un’Europa che doveva dominare. Mourinho è alla finestra. A fine stagione potrebbe lasciare il Real per abbracciare uno sceicco. Parigi o Manchester le destinazioni. E comunque vada non se la passerà male, il buon Josè.

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La verità, vi prego, sul pallone #13

3 Dic

Una squadra è grande quando sa mettersi alle spalle prestazioni negative e sconfitte. Una squadra è matura quando è continua e sa di esserlo. Ecco la differenza tra questa Juventus e le altre. Due partite perse, le più antipatiche, quelle che nessun tifoso vorrebbe perdere, e nessuna conseguenza sulla classifica e sul morale. Anzi. Ne fa le spese stavolta il malcapitato Torino che si mette l’abito ormai sdrucito del derby e viene letteralmente demolito, nonostante i buoni propositi di Ventura. A tal proposito, quello della Mole è un derby che ha ormai perso il fascino di una volta. La statistica dice che in qualunque piazza vincitori e vinti si sono sempre alternati, chi più chi meno, nonostante i disequilibri economici e sportivi. Anche negli anni dello straripante Manchester United lo sfigatissimo City (prima dell’avvento degli sceicchi) portava a casa qualche vittoria. E lo stesso accadeva a Liverpool con l’Everton, a Madrid con l’Atletico e persino a Barcelona con l’Espanyol. A Roma, Milano e Genova non esiste un favorito, a Torino sì: lo dicono i numeri. Inquietante quello relativo all’ultima vittoria del Toro. Era il 25 gennaio del 1995. Una doppietta di Rizzitelli e una rete di Angloma a 4 minuti dalla fine regalarono la stracittadina ai granata. Sono passati quasi 18 anni, un’eternità. A memoria credo che in nessuna città d’Europa accada qualcosa del genere. Sulla partita (l’ultima in campionato con Conte chiuso nella ghiacciaia) c’è poco da dire. Una pratica sbrigata facilmente grazie ad una prova maestosa di quel grandissimo giocatore che è diventato, o forse è sempre stato, Marchisio. Adesso la Juve si prepara alla trasferta di Donestk dove basterà un pareggio per andare avanti in Champions. Ci sperano tutti, comprese le inseguitrici. In fondo i due stop bianconeri sono arrivati a cavallo tra gli impegni europei e Napoli e Inter non hanno la Champions. I partenopei distruggono il Pescara (ora sì che la situazione degli abruzzesi è delicata) e si preparano ad un’importantissimo esame di maturita domenica a San Siro contro l’Inter. La mia impressiona è che al Napoli manchi solo un po’ di convinzione e qualche lampo di imprevedibilità, soprattutto nelle partite difficili da sbloccare. Ma quella la dava Lavezzi che non c’è più. A proposito di derby, un’annotazione va fatta. Napoli è l’unica grandissima città Europea che ha una sola squadra. Questo vuol dire che tutta la città, tutto il bacino di tifosi, è dalla sua parte. E allora se c’è una società solida, un allenatore bravo (peccato per quella confessione sull’anno sabbatico), un centravanti eccezionale e una tifoseria inimitabile perchè dovrebbe essere vietato sognare? Ce lo dirà appunto lo scontro con l’Inter. Da bene bene a male male (finora aveva alternato belle prestazioni ad altre sciagurate) l’Inter di oggi è stata una squadra da benino. Un golletto su autogol (sembra quasi uno schema, dopo quella del Cagliari) e tre punti che le consentono di restare aggrappata al treno. La partita non è stata indimenticabile e c’è da dire che Cassano si vede soprattutto quando manca. L’Inter vince la partita quando escono Zanetti, Milito e Cambiasso, tre mostri sacri. Coraggiosa la scelta di Stramaccioni, ripagata più dalla fortuna che dalla sagacia. Ma a livello psicologico mi è sembrata la mossa giusta. La Lazio merita una citazione particolare. Per solidità e concretezza la vedo meglio della Fiorentina che la precede. I viola sono più spettacolari ma i biancocelesti hanno Klose che segna con una regolarità impressionante e tiene in apprensione le difese avversarie per novanta minuti. Credo che sia uno dei 5 giocatori di questo campionato in grado di fare davvero la differenza. A voi indovinare chi sono gli altri. La Roma avanza, terza vittoria di fila e squadra che iniza ad avera una propria identità. Zeman, al secondo gol, si lascia andare persino ad una timida esultanza, e sono notizie. Esulta anche Destro, finalmente un ex che non si fa scrupoli. E questo ragazzo, ancora giovanissimo, inizia a lanciare segnali importanti al calcio italiano. Non è l’unico. El Shaarawi in questo momento è uno dei giovani attaccanti più promettenti d’Europa. Il Milan se lo goda. Questo non è e non sarà un campionato indimenticabile ma il piccolo faraone sarà il crack del futuro. E se davvero dovesse arrivare Balotelli a gennaio si potrebbero mettere le basi per una rinascita made in italy. La new italy, quella multiculturale, multirazziale e talentuosa. Come quei due. Talentuosa come un altro ragazzo al quale dedico la mia copertina. Si chiama Alberto Paloschi ed è l’attaccante del Chievo di Corini che sotterra il suo maestro Del Neri. Alberto ha già tanti infortuni alle spalle. Al Milan dicevano che era il nuovo Inzaghi, poi si è un po’ perso o semplicemente sono cambiate le mode. L’ultima era quella dell’attaccante muscolare, che si mette al servizio della squadra e fa reparto da solo. Paloschi ha però una dote che nel calcio fa ancora la differenza. Fa gol. E vede la porta come pochi. Tre solo oggi e pallone a casa. Ha solo 22 anni e tanti gol ancora davanti. A livello di nazionale, con queste premesse, siamo messi bene. La stoffa c’è. Adesso bisogna essere bravi a tesserla.

alberto paloschi

alberto paloschi