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Quando al copy basta una lettera. Per emozionarsi (e vendere).

24 Lug

Di mestiere faccio il copy, almeno ci provo (sì, sono sempre io, quello che cercate su google scrivendo “laureato in lettere e adesso?“). E per questo mi emoziono quando un altro copywriter (no, non lo chiamerò collega) crea qualcosa di geniale. Siccome ultimamente di cose geniali ne vedo poche (a parte su Quink) e poiché c’è sempre bisogno di emozionarsi, anche quando si lavora, allora devo dire che quella di ieri è stata una sorta di epifania per il sottoscritto. Il The Sun che diventa The Son, in onore del piccolo Royal baby.

Una lettera. Un suono, una pronuncia. Una provocazione. Ma se cambiassimo il nome del giornale per un giorno? Avrà affermato il copy. Che poi certe volte, idee come queste vengono da chi fa tutt’altro mestiere, ma poco importa. Un caporedattore, un inviato, il ragazzo del thé (maledetti film, ho sempre questa immagine in testa quando penso a The Millionaire). Immagino la faccia del CdA del secondo quotidiano più venduto al mondo, le frasi killer: “Ma non sarà troppo azzardato? Non abbiamo mai fatto una cosa del genere“.

E lui (il copy o il ragazzo del thé) che insiste: una lettera signori, una sola, ed entriamo nella storia. Ma cosa avranno pensato i custodi delle linee guida? Quelli che affermano sempre “La style guide non lo permette“? Esiste quindi un’eccezione alla regola, e quando è possibile uscire out of the box come dice sempre il mio amico Lorenzo Braconi? Perché vedete, noi scribacchini (ecco, adesso mi sento più a mio agio) dimentichiamo spesso di fare i conti con l’oste. E quando andiamo dall’Art Director succede che spesso ci scontriamo con lui (o lei, l’heart director).

E quindi tu vuoi dirmi che tutto il tuo sforzo creativo consiste nell’aver cambiato una lettera? Dice.

Sì, ti pare poco, c’ho pensato due ore. E poi è una genialata. Rispondo

Mi serve un titolo di due righe ti dico. 

Fottiti, ho cambiato una lettera e cambieremo la storia, dammi retta. 

Quando mi faccio questi film, di solito, mi confronto con Graziano. Ah, non chiamatelo Art Director, si incazza. Preferisce Identity Designer, il perché chiedetelo a lui, fa figo comunque, quindi mi sa glielo faccio mettere sul biglietto da visita. Ecco, lui è talmente Identity che preferirebbe crepare piuttosto che venir meno ai principi della brand identity. Eppure questa volta mi ha colpito, arrivando a dirmi che il cambio di nome del giornale è paradossale, ma è la massima espressione dell’identità di un brand. Il valore differenziante del quotidiano inglese – mi dice – è quello di essere nella notizia, e proprio in onore di questo valore è stato fatto ciò che non si può fare: modificare il brand. Un brand che non è mai stato più forte di ieri. 

Insomma, non si è trattato di un’intuizione, ma di una vera e propria campagna pubblicitaria. Geniale, virale (effetto social) e soprattutto commerciale. Quanti avranno comprato una copia del The Sun ieri? Quanti ne vorranno custodire l’unica copia? Quella che tra qualche decennio diventerà storia? Insomma, a volte basta cambiare una lettera per ottenere la campagna perfetta. Così dice Graziano, così dico anche io.

Ditemi anche la vostra.

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